(Genesi 18.4-5) Edo - Aceb_PugliaBasilicata

Cerca
2006/2024 -  ANNO XVIII  19 dicembre  2024
"Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo" (Galati 6:2)
Vai ai contenuti

Menu principale:

SERMONI
 

SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI

SIGNORE, FA’ CHE LE NOSTRE CHIESE DIVENTINO “LOCANDE”
PER ACCOGLIERE COLORO CHE SONO NEL BISOGNO

Vi farò subito portare dell'acqua per lavarvi i piedi. Intanto riposatevi sotto quest'albero. Poi vi darò qualcosa da mangiare. Dopo esservi ristorati potrete continuare il vostro viaggio. Non dovete essere passati di qui inutilmente. 
- Va bene, - risposero, - fa' come hai detto.  (Genesi 18:4-5)

“Ama il Signore Dio tuo... e ama il prossimo tuo come te stesso” (Luca 10, 27)
La lettura biblica per questo sesto giorno della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani è: "Signore, fa’ che le nostre chiese diventino “locande” per accogliere coloro che sono nel bisogno". 
Questa preghiera riflette un impegno a vivere la fede attraverso l'accoglienza e la solidarietà, invitando a considerare le chiese non solo come luoghi di culto, ma anche come spazi in cui ci si prende cura degli altri".

Nell'Antico Testamento, ovvero nel libro della Genesi troviamo un passo biblico che ci parla di ospitalità, di accoglienza, e della presenza di Dio tra noi. Si tratta dei versetti 4 e 5 del capitolo 18.
Questi versetti ci trasportano nell'incontro tra Abramo e tre misteriosi visitatori, che alla fine si rivelano dei messaggeri inviati dal Signore stesso. Qui notiamo come Abramo non solo li riconosce come ospiti, ma manifesta un cuore generoso nell'accoglierli. L'accoglienza di Abramo è un esempio potente per noi oggi. Egli offre acqua per lavare i piedi, un segno di rispetto e cura. Poi invita i visitatori a riposare sotto l'ombra dell'albero, mostrando un gesto di gentilezza e ospitalità. Ma non si ferma qui. Abramo decide di preparare un pasto per i suoi ospiti, dimostrando una generosità che va oltre l'ordinario. Questo episodio richiama alla mente le parole di Gesù in Matteo 25:40, dove Egli dice: "In verità vi dico che ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me." Questa connessione tra l'accoglienza del prossimo e l'accoglienza di Gesù stesso è un tema cruciale nelle Scritture. Quando accogliamo gli altri, specialmente i più deboli e bisognosi, stiamo in realtà accogliendo il Signore. È un atto di rispetto e amore verso Dio stesso. Gli ospiti di Abramo erano forse angeli, ma possiamo trovare il volto di Cristo in ogni persona che incontriamo, specialmente in quelli che sono più vulnerabili e bisognosi. Accogliere i minimi non significa solo fornire loro il necessario materiale, ma anche offrire amore, dignità e rispetto. Significa ascoltare le loro storie, comprendere le loro necessità e rispondere con intelligenza. L'accoglienza diventa un canale attraverso il quale il nostro amore per Dio si manifesta concretamente nel mondo. In un mondo che spesso è diviso, indifferente e freddo, siamo chiamati a essere un faro di accoglienza e amore. Aprendo le porte dei nostri confini, delle nostre chiese e dei nostri cuori a coloro che si trovano nel bisogno, manifestiamo la presenza di Dio nel mondo. Oggi siamo esortati a seguire l'esempio di Abramo. Accogliamo i minimi con un cuore generoso, consapevoli che ogni atto di amore e gentilezza nei loro confronti è un atto di culto verso il nostro Signore Gesù Cristo.
Il nostro cammino cristiano ci chiama ad essere imitatori di Cristo, a riflettere il Suo amore nel mondo che ci circonda. Siamo chiamati a superare ogni barriera di identità religiosa, etnica e sociale, proprio come il Buon Samaritano che ha mostrato compassione senza riserve verso chiunque avesse bisogno.
Il testo biblico  ci spinge a una profonda riflessione sullo stato delle nostre chiese. Siamo chiamati a trasformare questi luoghi sacri in oasi di amore e accoglienza, dove ogni essere umano, a prescindere dalla sua storia o condizione, possa sperimentare un senso di appartenenza e accoglienza. L'accoglienza incondizionata che Gesù ha dimostrato nei confronti dei peccatori, dei malati e degli emarginati deve essere il nostro modello. Le nostre chiese non dovrebbero essere solo edifici di pietra, ma comunità calorose in cui il prossimo si senta avvolto dall'amore di Cristo. Dobbiamo essere come il Padre nel racconto del figliol prodigo, pronto a correre incontro a chiunque ritorni a noi. In un mondo spesso segnato da divisioni e indifferenze, dobbiamo essere il riflesso dell'amore di Cristo, un amore che va oltre le differenze e abbraccia chiunque si trovi nel bisogno. La nostra fede non è fatta solo di parole, ma deve tradursi in azioni concrete di amore e  solidarietà. Quando apriamo le porte delle nostre chiese, delle nostre case, dei nostri confini, non dovremmo solo accogliere le persone, ma anche i loro dolori, le loro gioie e le loro speranze. Solo così le nostre chiese diventeranno luoghi di vera comunione, dove il prossimo si sentirà a casa.
Ricordiamoci però, che il nostro mandato non è limitato alle quattro pareti dei nostri edifici di culto. Siamo chiamati a portare l'amore di Cristo nei quartieri, nelle città, ovunque ci troviamo. Siamo chiamati a essere la luce che illumina le tenebre, a essere il sale che dà sapore alla vita.
In un mondo, il nostro che è turbato dai conflitti e dall'oppressione, dove donne, bambini, anziani, cercano disperatamente scampo dalle guerre e dai governi autoritari, siamo chiamati a manifestare concretamente la nostra solidarietà per coloro che cercano rifugio, libertà e dignità. Dobbiamo essere le mani che tendono verso coloro che fuggono dalle guerre, dobbiamo essere  i cuori pronti a comprendere le storie di chi ha vissuto esperienze terribili, drammatiche. Dobbiamo essere promotori di cambiamenti tangibili, sostenendo cause di giustizia, offrendo rifugio e difendendo i diritti umani di coloro che sono oppressi.
L'amore per il prossimo non può conoscere confini; esso deve oltrepassare le barriere di nazionalità, etnia e religione. Dobbiamo vedere il volto di Cristo in ogni individuo che cerca disperatamente una via di fuga, che cerca una speranza, che cerca risposta.  Dobbiamo essere gli architetti, i costruttori di speranza e portatori di amore, affinché, attraverso le nostre azioni, il nostro prossimo possa sperimentare l'amore di Dio. Nell'ev. di Luca, ... nell' episodio del Buon Samaritano il maestro della Legge domandò a Gesù:- Maestro, che cosa devo fare per avere la vita eterna?  Gesù gli disse: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, ..... e  ama il prossimo tuo come te stesso". Cosa significa “ama il tuo prossimo come te stesso”? Che il mio prossimo è uno come me. E’ uguale me, è una persona come me, con gli stessi bisogni e le stesse speranze. In questi bisogni c’è anche il bisogno dell’altro, di essere riconosciuto dall’altro, di sentirsi uno per l’altro. Ognuno di noi ha bisogno dell'altro; nessuno può vivere isolato.  Siamo noi a poter diventare il prossimo a chi ha bisogno. Il levita e il sacerdote non sono diventati, il prossimo.. il samaritano invece si. Prossimo si diventa quando il guardare l’altro tocca il proprio cuore.
La parabola del "Buon samaritano" racconta l'amore di Dio,  perché Dio è ovunque, Dio è dove ci sono delle persone che diventano il prossimo a chi ne ha bisogno.
Gesù ci invita quindi a guardare e a vedere, a prendere sul serio chi è nel bisogno per diventare il suo prossimo. La salvezza di ognuno di noi si realizza proprio, in queste piccole cose: se io divento il prossimo di chi ha bisogno di me, si aprono le porte del Regno di Dio in mezzo a noi.

Edoardo Arcidiacono  (Margherita di Savoia - P. Maria SS. Addolorata  23 Gennaio 2024)
 
 
 
Torna ai contenuti | Torna al menu