Thomas Helwys
a cura di Salvatore Rapisarda, pastore emerito
In vista del 400° anniversario della costituzione della prima chiesa battista (1609) abbiamo già scritto di John Smyth (Riforma, 6 giugno 2008, pag 8 e sito Ucebi). Thomas Helwys è l’altro nome di spicco tra coloro che lasciarono l’Inghilterra per trovare rifugio in Olanda, perseguitati com’erano dalla chiesa di stato a causa delle loro convinzioni radicali che li portarono a un netto dissenso dalla chiesa Anglicana. Di Helwys sappiamo alcune poche cose, che si possono contare sulle dita di una mano. Era un signorotto di una contea vicino a Londra, aveva studiato nel College Gray’s Inn, era rimasto un laico interessato alle questioni religiose, aveva ospitato e fatto parte di una comunità di dissidenti e, con Smyth ed altri, era andato in Olanda in cerca di libertà religiosa. In Olanda aveva partecipato al dibattito sul battesimo dei credenti e sulla chiesa formata da veri credenti battezzati su confessione di fede. Pur essendo legato a Smyth e riconoscendone il ruolo di teologo, Helwys non lo seguì nei suoi dubbi sulla validità del proprio autobattesimo e nel suo processo di avvicinamento verso i Mennoniti. Helwys aveva una visione “politica” della riforma della chiesa. Le sue idee sono espresse nella sua opera fondamentale: The Mistery of Iniquity o, con titolo più esteso, A Short Declaration of the Mystery of Iniquity. L’opera venne pubblicata nel 1612 in Inghilterra, dove Helwys e i suoi erano tornati, fondando a Spitalfields presso Londra la prima comunità battista su suolo inglese, perché non trovavano appropriato starsene al sicuro in Olanda e fare mancare la testimonianza della verità al proprio paese. In questa scelta di vita si sentivano come le “pietre” chiamate a parlare e gridare dove e quando nessuno altro parla.
Helwys chiama il suo libro A Short Declaration… , in realtà si tratta di un testo di oltre duecento pagine, stampato fitto fitto, in cui viene trattato, tra l’altro ma non secondariamente, il tema del rapporto tra autorità di Dio (e della Scrittura) e autorità umane, ecclesiastiche e civili. Vi affiora una particolare dottrina che sostiene la separazione tra sfera spirituale-religiosa, sottoposta esclusivamente all’autorità di Dio, e sfera politica, che è il solo ambito in cui il re ha un ruolo da giocare. Alla luce di questa separazione Helwys sostiene, per la prima volta in Inghilterra, il principio di libertà di coscienza, sfera lasciata alla totale responsabilità del singolo, che delle sue scelte dovrà rendere conto soltanto a Dio. Egli rivendica la libertà di coscienza e di religione non soltanto per sé, ma per tutti, ed ecco le sue parole: siano essi eretici, turchi, ebrei, papisti o altro. Non solo Helwys sostiene la libertà di coscienza per tutti, ma esplicitamente esonera il re dal compito di vegliare sui suoi sudditi in materia di fede. Con ciò Helwys rende le singole persone responsabili di quel che credono e di quel che dicono o fanno, senza il paravento dell’ubbidienza ad un’autorità superiore, politica o religiosa che sia.
Il titolo del libro fa esplicito riferimento al versetto di 2 Tessalonicesi 2:7 in cui si parla di mistero dell’iniquità (Nuova Riveduta: empietà) . Questo potere satanico per Helwys è incarnato nelle due bestie di Apocalisse 13. Più precisamente, per il nostro autore, la prima bestia è la chiesa di Roma, che ha voluto esercitare potere politico e spirituale sulle coscienze. La seconda bestia è la chiesa Anglicana, che ha scimmiottato quella di Roma. Helwys non denuncia una persona in particolare (papa o arcivescovo). Egli denuncia il sistema politico-religioso che interviene, persino con le preghiere prestabilite o con le condanne a morte, in un ambito che appartiene alla persona singola nel suo rapporto con Dio. Compito del re, sostiene Helwys, non è quello di schierarsi al lato della bestia, coinvolgendosi in un ruolo da bestia, che non gli appartiene, ma di disarmare la bestia del potere di cui si è impropriamente rivestita. In questo Helwys non auspica azioni cruente, ma confida nella guida che lo Spirito di Dio saprà dare al re.
Non c’è dubbio che Helwys dimostra chiarezza di visione e molto coraggio. Il suo ritorno in patria fu un vero atto di coraggio, visto che tornò per testimoniare apertamente. Inoltre, egli volle fare recapitare una copia del suo libro al re, Giacomo I. Questi si sentiva un po’ come il nuovo Giosia, che doveva operare la riforma della chiesa. La più diffusa bibbia inglese porta il suo nome e venne pubblicata nel 1611, l’anno prima del libro di Helwys. Sembra che Giacomo I non abbia apprezzato la dedica che Helwys gli scrisse sul risvolto del libro, con cui tra l’altro affermava: “Il re è uomo mortale e non Dio, non ha quindi alcun potere sulle anime immortali dei suoi sudditi…”. Helwys venne arrestato e morì in prigione quattro anni dopo. La sua testimonianza, tuttavia, ci chiama a resistere là dove le autorità religiose e civili si vestono di un’autorità che non appartiene loro e vogliono prevaricare sulla coscienza e la libertà. Il nostro non appare come il tempo dei martiri. Certamente è un tempo in cui si sente il bisogno di una voce profetica, come quella che Helwys ci ha fatto ascoltare.