Kant era figlio dell’Illuminismo, un'epoca storica durante la quale l’essere umano guardava ancora con grande ottimismo alle proprie capacità razionali. La storia, però, ci ha dimostrato che l’essere umano non è affatto in grado di creare un mondo migliore con la sua sola ragione, altrimenti non si spieghe-rebbero, per esempio, i tanti orrori dei regimi totalitari e le guerre che perdurano sino ad oggi. In realtà, come ha poi mostrato Freud, l’esse-re umano non è affatto "pura razio-nalità", ma è dominato soprattutto da forze irrazionali inconsce che sfuggono al controllo della ragione umana. Con il solo imperativo "io devo", pur acquisendo la consape-volezza del nostro dovere, non sia-mo capaci di compierlo sino in fon-do, perché la forza di fare il bene e di combattere il male non viene dal nostro io. Come scriveva l'apostolo Paolo ai Romani, «infatti il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio» (Rm 7,19).
Anziché concentrare la nostra attenzione sulle nostre potenzialità e sul nostro senso del dovere, vo-gliamo accogliere l'esortazione che Gesù ci rivolge, dicendo: «Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me». Come un tralcio non può produrre buoni frutti se è staccato dalla vite, così noi non possiamo produrre nulla di veramente buono nelle nostre vite se non rimaniamo legati al Signore.
Vogliamo dunque puntare la no-stra attenzione non su noi stessi, sulle nostre capacità o sul nostro dover fare, ma sul nostro Signore, traendo nutrimento dal suo inse-gnamento, dalla forza del suo Spi-rito e dal suo amore.
Senza la presenza del Signore nelle nostre vite, noi non possiamo fare nulla di buono e il nostro per-sonale "io devo", con tutte le sue buone intenzioni, non produrrà quel bene che si auspica di produrre. La religione e la morale si fondano sull’io devo, ma la nostra fede non è affatto fondata su questo impera-tivo categorico. Non è attraverso il nostro senso del dovere che possia-mo produrre buoni frutti perché questi non dipendono dalle nostre buone intenzioni, ma dipendono principalmente dall'azione del Si-gnore sulla nostra vita.
Come Paolo scriveva ai Filippesi, è Dio che produce in noi il volere e l’agire (Fil 2,13). Pertanto, all’io devo va sostituito l’io posso. Come affermava ancora l’Apostolo, «Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica» (Fil 4,13).
Rimaniamo legati al Signore Ge-sù, come un tralcio è legato alla sua vite, e quanto più Cristo dimorerà in noi, tanto più la nostra vita pro-durrà buoni frutti per la sua gloria.