Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
“Credi tu questo?” (Giovanni 11, 26)
Alla fine il monte dove sorge il tempio del Signore sarà il più alto di tutti e dominerà i colli. Tutti i popoli si raduneranno ai suoi piedi e diranno: Saliamo sul monte del Signore, andiamo al tempio del Dio d'Israele. Egli c'insegnerà quel che dobbiamo fare; noi impareremo come comportarci. Gli insegnamenti del Signore vengono da Gerusalemme; da Sion parla al suo popolo. Egli sarà il giudice delle genti, e l'arbitro dei popoli. Trasformeranno le loro spade in aratri e le lance in falci. Le nazioni non saranno più in lotta tra loro e cesseranno di prepararsi alla guerra.
Care sorelle e cari fratelli in Cristo, in questa settimana per l'unità dei cristiani, siamo chiamati a riflettere sul nostro cammino di fede, sul nostro impegno nella chiesa. Siamo chiamati a essere segno di speranza, soprattutto in un tempo come il nostro, segnato dalla sofferenza e dalla divisione. Oggi, viviamo in un mondo sconvolto dalle guerre, dalla violenza, dall'odio e dalla disuguaglianza. A poche ore da casa nostra, intere nazioni sono devastate da conflitti che annientano speranze e vite umane. In Palestina, in Ucraina, in altre terre, assistiamo a massacri di innocenti, a bambini, donne, anziani uccisi, intere popolazioni distrutte. Ogni giorno, milioni di persone vivono nella paura, nel dolore e nell'incertezza, mentre famiglie vengono spezzate e i sogni di pace sembrano sfumare. Ma come Chiesa, noi non possiamo rimanere indifferenti. Credere nella Chiesa significa, prima di tutto, credere che siamo chiamati ad essere facilitatori, costruttori di pace. Gesù, con la sua risurrezione, ha vinto la morte e l'odio, e ci ha consegnato un messaggio di speranza che è destinato a trasformare il mondo. La chiesa è chiamata a incarnare questa speranza, ad essere testimone di quella pace che solo Dio può dare. E in un mondo che spesso sembra cedere sotto il peso del conflitto, noi siamo chiamati a lavorare per la riconciliazione e per la giustizia. In un tempo in cui sembra che la violenza abbia il sopravvento, noi, come cristiani, dobbiamo essere luce e speranza, soprattutto per chi soffre. Dobbiamo rispondere con il nostro impegno concreto e il nostro amore a chi è oppresso, a chi è vittima di guerra, a chi è disperso, a chi ha perso la propria casa, a chi vive nell’ombra della morte. La pace non è solo l’assenza di guerra, ma è il frutto di un impegno quotidiano per la giustizia, la solidarietà, la protezione dei più deboli, dei vulnerabili…
Al centro della Settimana di quest’anno c’è la domanda che Gesù nell’ evangelo di Giovanni 11:26 rivolge a Marta nel racconto della resurrezione di Lazzaro: «Credi tu questo?» Marta ha appena sentito le parole di Gesù: «Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà».Questa domanda non è solo rivolta a Marta, ma interpella ciascuno di noi: crediamo veramente che Cristo è la nostra resurrezione e la nostra vita, e che in Lui ogni divisione può essere superata? A questa riflessione si lega il testo profetico di Isaia 2:2-4. Nel contesto di sofferenza e divisione che viviamo, Isaia presenta una visione straordinaria e una promessa di speranza. Egli ci invita a immaginare un mondo diverso, mentre Gesù ci chiama a concretizzarlo con la nostra testimonianza e il nostro impegno. Isaia descrive un mondo in cui le nazioni, anziché essere divise, sono unite nella ricerca di Dio. Esse salgono al monte del Signore per essere istruite e per imparare a camminare sui suoi sentieri. Questa immagine ci ricorda che l’unità non è un traguardo umano, ma un dono di Dio che si realizza quando ci rivolgiamo a Lui.
Per Isaia, il monte è simbolo della presenza di Dio che attrae e trasforma, generando una pace duratura come frutto di tale trasformazione. Isaia ci dice che le spade saranno trasformate in vomeri e le lance in falci, strumenti di guerra riconvertiti in strumenti di vita. Questa immagine ci spinge a riflettere sulle nostre vite, quali sono le armi che noi usiamo? Possono essere i conflitti armati, certamente, ma anche le parole taglienti, i pregiudizi, le ingiustizie economiche e sociali, le discriminazioni. Ogni volta che scegliamo di rispondere al male con il bene, ogni volta che sostituiamo l’odio e l’indifferenza con l’amore, stiamo contribuendo a trasformare queste armi in strumenti di pace. Questo implica anche il coraggio di denunciare le ingiustizie e di sostenere i più deboli. Isaia ci ricorda che la pace è strettamente legata alla giustizia. Non può esistere vera pace senza un impegno concreto per eliminare le cause della sofferenza e della povertà.
Come cristiani, non possiamo essere indifferenti alla fame, alla discriminazione e al degrado ambientale. La nostra fede deve tradursi in azioni che riflettano l’amore di Dio per ogni creatura. Isaia ci offre una visione che sembra distante, ma che può diventare realtà se iniziamo a viverla oggi, nelle nostre famiglie, nelle comunità e nelle nostre relazioni. Siamo chiamati a essere testimoni credibili di questa speranza, soprattutto per le nuove generazioni, spesso disilluse e scoraggiate. Dobbiamo mostrare loro che un futuro diverso è possibile e che vale la pena impegnarsi per costruire un mondo più giusto e fraterno. Siamo invitati a riflettere su come le nostre divisioni siano un ostacolo alla testimonianza del Vangelo. Gesù stesso ha pregato affinché́ tutti i suoi discepoli fossero uno, «affinché́ il mondo creda» (Giovanni 17:21).
La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è un’occasione preziosa per testimoniare che, nonostante le differenze confessionali, siamo chiamati a camminare insieme come un unico popolo. Proprio come le diverse nazioni di cui parla Isaia si uniscono per salire verso Dio, anche noi dobbiamo camminare insieme, lavorando tutti verso lo stesso obiettivo: “costruire il Regno di Dio." Quindi il profeta Isaia e l’evangelo di Giovanni ci offrono una chiamata chiara: vivere come testimoni di riconciliazione, di unità e pace e credere nella resurrezione di Cristo e che in Lui ogni divisione può essere superata.
Durante questa settimana, siamo invitati a riflettere sulla nostra fede e sul nostro impegno. La domanda di Gesù, «Credi tu questo?», non è solo una sfida personale, ma un richiamo a vivere in modo tale che la nostra fede nella resurrezione diventi visibile agli altri.
Che il Signore ci aiuti a rispondere con un «sì» pieno e sincero, non solo con le parole, ma con le nostre vite. Che possiamo essere strumenti della sua pace, costruttori della sua unità e testimoni della sua resurrezione, affinché tutti i popoli possano salire al monte del Signore e camminare sui suoi sentieri. Amen!
Edoardo Arcidiacono
San Ferdinando di Puglia - Parrocchia S. Ferdinando Re (23 Gennaio 2025)