NEV - NOTIZIE EVANGELICHE
protestantesimo - ecumenismo - religioni
Servizio stampa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
9 settembre 2015
settimanale - anno II (XXXVI) - numero 37
* INTERVISTA: Guillermo Kerber (CEC): L’urgenza di definire la condizione dei profughi climatici
* Clima. La voce delle chiese verso Parigi
* Profughi/1. Organismi di chiese chiamano l’Europa alle proprie responsabilità
* Profughi/2. Accoglienza ecumenica dei siriani a Monaco di Baviera
* Profughi/3. In Ungheria diverse chiese evangeliche in prima linea nell’accoglienza
* Lavoro. A Torino la Carovana del lavoro promossa dalla FCEI
* Roma. Una piazza della capitale dedicata al monaco agostiniano Martin Lutero
* Cinema. Presentato a Venezia il Comitato interreligioso del Tertio Millennio Film Festival
* TELEGRAFO: Notizie in breve
* APPUNTAMENTI
* MEDITERRANEAN HOPE: Lo sguardo di Lampedusa
* MEDITERRANEAN HOPE: Lo sguardo di Scicli
INTERVISTA
Guillermo Kerber: L’urgenza di definire la condizione dei profughi climatici
di Gaëlle Courtens
Roma (NEV), 9 settembre 2015 – Mancano poco più di due mesi alla prossima Conferenza delle parti (COP21) di Parigi sul clima. Tra i temi all’ordine del giorno figurerà la sorte di chi è vittima delle conseguenze del cambiamento climatico, nella maggior parte dei casi popolazioni tra le più povere del pianeta. Con ancora negli occhi le immagini delle marce dei rifugiati in Ungheria degli scorsi giorni e quelle relative all’accoglienza nelle stazioni austriache e tedesche, ma anche quelle, quotidiane, dei salvataggi in mare a largo di Lampedusa, in vista di Parigi il pensiero va ad una categoria di profughi ancora troppo trascurata dai mass-media: i cosiddetti “rifugiati climatici”. Intere popolazioni costrette a lasciare i luoghi di origine e migrare altrove, semplicemente perché quelle terre scompaiono dalle carte geografiche. Una categoria di profughi priva di qualsiasi protezione giuridica. Ne abbiamo parlato con il teologo Guillermo Kerber, a capo del dipartimento del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) per la cura del creato e la giustizia climatica.
Guillermo Kerber, in quali termini il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) è impegnato sul fronte del fenomeno dei “rifugiati climatici”?
Della loro condizione anche giuridica il CEC si sta occupando da una decina di anni ormai. E’ un problema molto serio. Queste persone non hanno alcuna protezione particolare non essendo incluse nei criteri della Convenzione di Ginevra per i rifugiati. Però, proprio perché non sono riconosciuti in alcun modo come “rifugiati”, da un punto di vista della correttezza terminologica andrebbero chiamati diversamente. Formalmente parliamo di persone sfollate o di profughi per motivi climatici. L’approccio del CEC è quello di adottare la prospettiva della vittima: la loro condizione, alla stessa stregua degli altri migranti, rientra nell’etica dell’accoglienza dello straniero. E noi dobbiamo essere capaci di rispondere ai loro bisogni.
Il CEC, concretamente, come si muove?
Abbiamo cercato di affrontare il problema insieme alle nostre chiese membro a livello regionale, anche perché le situazioni climatiche divergono molto da regione a regione. In particolare ci siamo concentrati sul Pacifico, dato che è lì che il tema è più attuale. Nelle isole Figi gli abitanti sono stati costretti a spostare interi villaggi dalla costa alle colline a causa dell’innalzamento del mare. Per quanto riguarda l’isola di Tuvalu, per esempio, sappiamo che stanno negoziando con la Nuova Zelanda: c’è stato un primo caso di “rifugiato climatico” riconosciuto da un tribunale neozelandese, poi rigettato dalla Corte Suprema, e ora queste stesse vittime sono in negoziazioni anche con l’Australia e la Papua Nuova Guinea. Ma non c’è solo il Pacifico. Le Maldive hanno creato un fondo per il clima, con l’idea di comprare terreni altrove nel caso le popolazioni dovessero essere trasferite in massa, e parliamo di centinaia di migliaia di persone. Ma pensiamo anche al Bangladesh, o all’Africa dell’est e a chi vive in America centrale, sempre più frequentemente colpita da devastanti uragani.
Il CEC negli ultimi anni a Ginevra ha organizzato due conferenze sul tema e nel 2013, insieme a Brot für die Welt e alla Conferenza delle chiese del Pacifico, ha prodotto un rapporto (https://www.oikoumene.org/en/resources/documents/wcc-programmes/justice-diakonia-and-responsibility-for-creation/climate-change-water/climate-refugees). Sul fronte giuridico inoltre, a stretto contatto con le università di Limoges e di Amsterdam, abbiamo elaborato delle proposte concrete in tema di protezione delle vittime del cambiamento climatico.
A questo proposito come si sta muovendo la comunità internazionale in vista di Parigi?
È una sfida, sia a livello umanitario, sia a livello della comunità internazionale. Basti pensare che all’UNHCR dicono di non avere alcun mandato per lavorare con queste persone. Anche se in molti casi ci si rende conto dell’urgenza del problema, siamo ancora lontani dal trovare una soluzione. Certo, ci possono essere azioni di carità, aiuto umanitario ad hoc, dichiarazioni e prese di posizione. Ma se non c’è un quadro giuridico nazionale e internazionale diventa molto difficile affrontare la questione in termini soddisfacenti.
Lei sarà a Parigi?
Sfortunatamente sì.
Perché sfortunatamente?
Sono anni che seguo le COP sul clima per conto del CEC ed è veramente frustrante non aver mai visto accordi che rispondano efficacemente ai bisogni delle vittime del cambiamento climatico … non di quelli di domani, ma di oggi! Non credo che la COP21 sarà un successo. Ci sarà un accordo, il migliore possibile, ma non risponderà alle urgenti necessità delle popolazioni minacciate. Eppure si tratta di un’opportunità formidabile: è l’unico spazio multilaterale dove tutti i governi hanno la possibilità di intervenire, anche i paesi più poveri. Purtroppo spesso partecipano con una sola presenza. La nostra preoccupazione è che ancora una volta i paesi più vulnerabili non avranno sufficiente voce in capitolo ai tavoli negoziali.
Cosa si sentirebbe di dire, a questo punto?
Bisogna creare alternative. Guardiamo a cosa possiamo fare noi, nella nostra vita quotidiana e nelle nostre comunità: serve una conversione. A cominciare dai nostri stili di vita.
Clima. La voce delle chiese verso Parigi
Olav Fykse Tveit: “Cura per l'ambiente e maggiore giustizia”
Roma (NEV), 9 settembre 2015 – “I cambiamenti climatici si affrontano in maniera sostenibile se si tengono strettamente connesse tra loro il rispetto per l'ambiente e il bisogno di una maggiore giustizia per le persone”, sono le parole del past. Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), intervenuto il 5 settembre alla consultazione sul tema della giustizia climatica organizzata dal Consiglio delle chiese dell'America latina (CLAI), a Barranquilla, Colombia.
Sono infatti molti gli eventi e le iniziative intraprese dalle chiese a livello locale e internazionale in vista della conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP21) che si terrà a Parigi il prossimo dicembre. A questo proposito Tveit ha dichiarato: “i diritti umani vanno rafforzati in un trattato internazionale da adottare a Parigi alla COP21, e anche a livello nazionale per costruire società più giuste”. Con la visita di Tveit in Colombia prosegue il programma del CEC “Pellegrinaggio per la giustizia e la pace”, adottato nell'ultima assemblea generale tenutasi a Busan (Corea del Sud) nel 2013.
In vista di Parigi anche le chiese europee sostengono eventi del pellegrinaggio. La Conferenza delle chiese europee (KEK) ha istituito un nuovo sito web (https://cecpilgrimage.wordpress.com/) dove è possibile visionarie le iniziative in corso e coordinarsi con ulteriori eventi: “il contributo della KEK al pellegrinaggio vuole enfatizzare e sostenere la voce unita delle chiese europee coinvolte” ha dichiarato il pastore Peter Pavlovic, segretario della Commissione studi della KEK. E' in programma inoltre una consultazione, il 12-14 ottobre prossimi, presso l’Accademia evangelica “Villigst” di Schwerte (Germania), dal titolo “Il contributo europeo al pellegrinaggio per la giustizia climatica”.
Nel frattempo è iniziato il “Pellegrinaggio ecumenico per il clima” in Germania, partito da Flensburg, al confine con la Danimarca, e diretto a Parigi. Il vescovo Heinrich Bedford-Strom, presidente della Chiesa evangelica in Germania (EKD), che ne è il “padrino”, in merito ha dichiarato: “La nostra fede ci dona la forza di impegnarci per queste cause e ne diamo una prova col pellegrinaggio ecumenico”.
Profughi/1. Organismi di chiese chiamano l’Europa alle proprie responsabilità
Olav Fykse Tveit: “Scioccati di sentire di paesi che rifiutano profughi in base alla religione”
Roma (NEV), 9 settembre 2015 – A poche ore dalla dichiarazione del premier ungherese Viktor Orban relativa al fatto che non poteva rischiare per via dei profughi un’islamizzazione del proprio paese, lo scorso 4 settembre è arrivato il monito del segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), Olav Fykse Tveit, in visita in Colombia: “Siamo scioccati di sentire di paesi che stanno rifiutando i profughi sulla base della loro appartenenza religiosa”. Il CEC pertanto sollecita “tutti gli stati europei ad assumersi la responsabilità di accogliere e sostenere le persone in cerca di rifugio, di sicurezza e di un futuro migliore per se stessi e le loro famiglie”. Il pastore Tveit ha ribadito che “la gestione dei flussi non può essere scaricata sul primo stato di arrivo delle persone. L'Europa, da est a ovest, sta vivendo una prova estrema, che richiede ai paesi di mantenere alti i valori della dignità e del rispetto dei diritti. Incoraggiamo le chiese dei paesi di arrivo, di transito e di destinazione dei profughi ad impegnarsi per l’accoglienza dello straniero. Una collaborazione ecumenica risulta decisiva per alleviare questa terribile sofferenza”.
Sulla stessa linea il segretario generale della Federazione luterana mondiale (FLM), il pastore Martin Junge, che in una lettera alle chiese membro europee ha ricordato che “la protezione dei rifugiati non è solo un obbligo morale. In quanto firmatari delle Convenzioni sul diritto internazionale, e in particolare su quella di Ginevra, le nazioni europee hanno preso l’impegno di proteggere i rifugiati”. Poi c’è il compito delle chiese, che per Junge devono distinguersi per un’accoglienza generosa che “riconosca la dignità umana di ogni profugo e che lotti contro il messaggio populista della paura e dell’esclusione”. Per parte sua Munib Younan, presidente della FLM, e vescovo della Chiesa luterana di Giordania e Terra Santa, ha chiamato i paesi di arrivo dei rifugiati a creare una cultura dell’accoglienza: “Io stesso sono rifugiato. La mia storia e la mia fede mi obbligano a difendere queste donne, questi uomini e bambini dalle spiagge inospitali, dai furgoni trovati in autostrade, dal filo spinato, dai campi”.
Profughi/2. Accoglienza ecumenica dei siriani a Monaco di Baviera
I leader delle due grandi chiese tedesche a sorpresa alla stazione centrale
Roma (NEV), 9 settembre 2015 – Lo scorso 5 settembre alla stazione centrale di Monaco di Baviera ad accogliere i primi profughi in arrivo con i treni speciali dall’Austria, c’erano anche il vescovo Heinrich Bedford-Strohm e il card. Reinhard Marx, rispettivamente presidenti della Chiesa evangelica di Germania (EKD) e della Conferenza episcopale tedesca (DBK).
I due leader religiosi avevano appuntamento quel giorno per una colazione di lavoro, ma sentito degli arrivi dei profughi, senza indugio sono andati insieme alla stazione per dare il benvenuto alle donne, uomini e bambini provenienti in larga parte dalla Siria. “Una decisione spontanea” si poteva leggere sul profilo facebook del vescovo Bedford-Strohm, che commosso ha scritto: “Sulle loro facce si vedeva la stanchezza, ma anche il sollievo, e la gioia riconoscente per essere finalmente in sicurezza. Una bimba ha lanciato un bacio alle persone che applaudivano. Non ci poteva essere ringraziamento più bello. La straordinaria iniziativa dell’umanità tedesca, che tanto auspicavo negli ultimi mesi, si è avverata nella maniera più impressionante”. E non mancano ringraziamenti anche alle forze dell’ordine, agli operatori e volontari per l’impeccabile gestione della prima accoglienza.
Bedford-Strohm si aspetta ora dalle autorità che la speranza dei profughi, di essere trattati con dignità e umanità, non venga disattesa. Il cardinale Marx, per parte sua, ha lanciato un appello alla politica, affinché massima priorità sia data ad evitare altre morti sulle frontiere europee.
Profughi/3. In Ungheria diverse chiese evangeliche in prima linea nell’accoglienza
Roma (NEV), 9 settembre 2015 - Diverse realtà di chiese evangeliche stanno rispondendo alla crisi umanitaria che in queste settimane sta scuotendo l’Ungheria. In prima linea nell’assistere donne, uomini e bambini scappati da guerra e persecuzione figurano, tra gli altri, la Diaconia della Chiesa evangelica luterana in Ungheria (CELU) e la Hungarian Baptist Aid (HBA). La prima fornisce in questi giorni soprattutto pasti caldi presso la stazione di Keleti di Budapest e raccoglie indumenti, coperte e materiale sanitario da distribuire ai profughi insieme a opuscoletti informativi in varie lingue; la seconda è operativa soprattutto presso la stazione Nyugati Pályaudvar di Budapest, dove, oltre a cibo, acqua e abbigliamento, fornisce assistenza sanitaria di base attraverso i volontari professionali - medici e infermieri – che riescono a visitare circa 200 persone al giorno. La Hungarian Interchurch Aid (HIA) affiliata a ACT-Alliance - braccio umanitario della Federazione luterana mondiale (FLM) e del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) - per ora offre servizi psicosociali ad un centinaio di bambini nei due centri di permanenza temporanea di Bicske e Vámosszabadi.
Il responsabile della Diaconia luterana ungherese, vescovo Tamas Fabiny, in una lettera aperta del 3 settembre scrive: “Facciamo quanto è nelle nostre forze e capacità. La situazione è drammatica e in Ungheria la tensione è molto alta. Promuoviamo come possiamo la mutua comprensione, la dignità umana e l’amore per il prossimo rifiutando logiche di pregiudizio e di odio”.
Lavoro. A Torino la Carovana del lavoro promossa dalla FCEI
Una giornata di incontri e studi sulla dignità e sostenibilità del lavoro
Roma (NEV), 9 settembre 2015 – Si terrà domenica 13 settembre a Torino un’ulteriore tappa della “Carovana del lavoro”, progetto della Commissione Globalizzazione e Ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangelica in Italia (FCEI). Una carovana “per la dignità e la sostenibilità del lavoro” che organizza la giornata dal titolo “Lavoro, vocazione al bene comune”. Saranno sin dalla mattina impegnate le chiese avventiste, battiste e valdesi della città che ospiteranno durante i culti la presentazione del progetto, per poi proseguire col pranzo comunitario alle ore 12.30 presso la chiesa battista di Torino nel quartiere Lucento, via Viterbo 119. Nella stessa sede si terranno i lavori del pomeriggio, con gli interventi di Antonella Visentin, responsabile della GLAM e Maria Elena Laquaniti, due laboratori, tenuti da Adriana Luciano e Teresa Isenburg, e le conclusioni affidate a Leopoldo Cassibba.
La Carovana è già stata in Sicilia, Puglia, nel Lazio e in Lombardia. Il 19 settembre terrà una tavola rotonda a Parma, alle 10 presso la Sede del Consorzio Solidarietà Sociale. Sono previste le relazioni di Massimo Mezzetti, Marcella Saccani e Antonella Visintin. Intervengono inoltre Mirella Manocchio, Augusto Malerba, Simone Baglioni, Raffaele Tagliani, Stefano Cantoni, Alessandro Catellani, Fabio Faccini, moderati da Salvatore Taranto.
Per maggiori informazioni: http://www.fedevangelica.it/index.php/it/globalizzazione-glam
Roma. Una piazza della capitale dedicata al monaco agostiniano Martin Lutero
Ignazio Marino: “Roma Capitale renderà finalmente omaggio al riformatore”
Roma (NEV), 9 settembre 2015 – “Mercoledì 16 settembre Roma Capitale renderà finalmente omaggio alla figura religiosa e culturale di Martin Lutero, dedicandogli una piazza in un’area centrale e prestigiosa come il Colle Oppio. L’importante teologo tedesco iniziatore della Riforma protestante, vissuto a cavallo tra il 1400 e il 1500, mancava infatti dalla toponomastica cittadina. L’amministrazione – ha dichiarato all’Agenzia stampa NEV il sindaco di Roma, Ignazio Marino - ha dunque deciso di rimediare a questa dimenticanza, ricordando che Lutero, nel 1510, visitò la Città eterna. I suoi rapporti con Roma, centro del cristianesimo, cambiarono e diventarono sempre più difficili dopo il 1517, con l’affissione delle 95 tesi sulla porta della chiesa del castello di Wittemberg. La scelta di dedicare a Lutero un luogo della città è compiuta in nome del rispetto per tutte le comunità di fede. D'altra parte il dialogo tra le fedi è una grande risorsa di comprensione e di pace, come ribadito anche da papa Francesco. Vogliamo così – ha concluso Marino – ricomporre nella nostra città quella distanza tra l'essere il centro del cattolicesimo e il fondatore del movimento protestante”.
“Finalmente Roma avrà la sua piazza Martin Lutero!”. È questo il sentimento delle comunità luterana, avventista, battista, metodista, salutista, valdese che fanno parte della Consulta delle chiese evangeliche del territorio romano che hanno avanzato al Comune di Roma la proposta di intitolare al monaco agostiniano un luogo nella capitale. La proposta era stata formulata anche in vista del 2017, anno in cui sarà ricordato il V centenario della Riforma protestante. L'intitolazione è arrivata dopo 6 anni dalla richiesta avanzata al Campidoglio dall'Unione delle chiese cristiane avventiste del 7° giorno (giugno 2009) e dalla Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI) alla Commissione toponomastica del comune in vista del 500° anniversario dello storico viaggio a Roma fatto da Lutero. La commissione aveva risposto positivamente già il 7 giugno del 2010.
Il 16 settembre, alle 17, il Sindaco di Roma Ignazio Marino, accompagnato dall’Assessore alla Cultura e allo Sport Giovanna Marinelli, alla presenza di rappresentanti delle istituzioni, di esponenti di chiese cristiane e di altre confessioni religiose, presiederà la cerimonia di intitolazione della “Piazza Martin Lutero, teologo tedesco della Riforma (1483-1546)”. La piazza si trova nel cuore del Parco di Colle Oppio, nei pressi del Colosseo, in Via della Domus Aurea (lato incrocio Via Mecenate e Via Bonghi).
Cinema. Presentato a Venezia il Comitato interreligioso del Tertio Millennio Film Festival
Gianna Urizio, presidente dell'Associazione protestante “Roberto Sbaffi”, ne è la coordinatrice
Roma (NEV), 9 settembre 2015 - Il cinema come strumento di dialogo tra le culture e le religioni. E' questo l'orizzonte nel quale il 6 settembre scorso, nell'ambito della mostra d'arte cinematografica di Venezia, è stata presentata l'edizione 2015 del Tertio Millennio Film Festival che prevede una importante novità rispetto al passato. Per la prima volta, l'evento promosso dalla Fondazione ente per lo spettacolo in collaborazione con il Progetto Culturale della CEI, avrà un comitato interreligioso con il compito di selezionare i film del Festival. “E' un progetto sul quale abbiamo incominciato a lavorare dalla scorsa primavera e che è riuscito a coinvolgere esponenti delle comunità cristiane, musulmane ed ebraiche – ha spiegato Gianna Urizio, presidente dell’Associazione protestante cinema “Roberto Sbaffi” e coordinatrice del nuovo comitato, in una intervista al Culto evangelico, rubrica radiofonica domenicale di Radiouno Rai – . Il comitato non ha il compito di assegnare i premi, per questo c'è un'apposita giuria, ma di selezionare film, spesso lontani dalla grande distribuzione, su tematiche che favoriscano il dialogo e la comprensione tra i popoli dando voce a inquietudini, problematiche ma anche alle soluzioni felici dell'incontro tra culture e religioni diverse”.
Il Tertio Millennio Film Festival, giunto alla sua XIX edizione, avrà luogo a Roma dal 25 al 30 ottobre prossimi con proiezioni presso la Casa del cinema e i cinematografi Trevi e Barberini. L'evento, con la novità del comitato selezionatore interreligioso, verrà presentato a Roma a fine settembre da mons. Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura.
A Venezia, intanto, è ancora in corso la Mostra d'arte cinematografica, nell'ambito della quale opera una Giuria internazionale per la promozione del dialogo interreligioso, nominata dall'Associazione protestante europea INTERFILM, che assegnerà il proprio premio a un film che “più di altri rafforza la mutua comprensione, il rispetto e la pace tra popoli di differenti provenienze, storie e fedi” (vedi NEV 36/2015).
TELEGRAFO
(NEV) – Domenica 6 settembre a Mialet, nella regione francese delle Cevennes, sono stati celebrati i 300 anni dell'Assemblée du Desert, il più grande e significativo raduno del protestantesimo transalpino. Il Deserto a cui fa riferimento l'assemblea è il periodo storico che si estende dal 1685, anno della revoca dell'Editto di Nantes, fino alla Rivoluzione del 1789, un lungo secolo di clandestinità dei protestanti di Francia che, privati della libertà di culto, vissero la loro fede riunendosi in luoghi appartati e nascosti. Proprio a Mialet, nel 1715, si riunì il primo Sinodo dei riformati transalpini che segnò la riorganizzazione delle chiese e la loro resistenza. Il culto con il quale è stato ricordato quell'evento di 300 anni fa ha avuto al centro il tema dell'accoglienza: una questione non solo di attualità, ma anche in perfetta coerenza storica con il Deserto che, nel pieno centro dell'Europa, provocò l'esodo di oltre 200mila profughi.
(NEV) – Si è svolto a Tirana (Albania) dal 6 all'8 settembre scorsi l'incontro internazionale “La pace è sempre possibile”, organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio. 400 leader religiosi cristiani, musulmani, ebrei, indù e di altre confessioni si sono ritrovati per discutere di sviluppo, salvaguardia dell'ambiente, diseguaglianze sociali, guerre, processi epocali di migrazione di questi anni. Al meeting di Tirana era presente ed è intervenuto anche il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola Valdese, tra i firmatari dell'appello finale sottoscritto dai partecipanti. Tra gli altri oratori, l'arcivescovo emerito della Chiesa di Svezia, Anders Wejrd, presidente europeo del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC); i metropoliti Serafim Kykotis e Vasilios di Costantia Ammochostos, entrambi membri del Comitato centrale del CEC; l'arcivescovo Anastasios di Tirana e di tutta l'Albania, già moderatore della Commissione sulla missione e l'evangelizzazion del CEC.
(NEV) – A favore della lotta al razzismo negli USA ai primi di settembre quattro chiese metodiste afro-americane hanno lanciato la campagna “Libertà e giustizia per tutti”. Tra gli obiettivi della campagna figurano la riforma della giustizia penale, la riforma dell’istruzione, la giustizia economica, la riforma delle armi e il diritto di voto. Per le quattro denominazioni promotrici dell’iniziativa (Chiesa cristiana metodista episcopale, Chiesa metodista africana episcopale, Chiesa africana metodista episcopale, Chiesa metodista episcopale unita) tutte le chiese statunitensi dovrebbero considerare la fine del razzismo e della violenza basata sulla razza una priorità. “239 anni dopo la fondazione della nostra nazione e 151 anni dalla guerra civile, noi non siamo ancora ‘Una nazione sotto Dio con libertà e giustizia per tutti’. Dobbiamo ancora confrontarci con la discriminazione e il pregiudizio presenti nelle leggi e nelle politiche” sono state le parole di Reginald Jackson, vescovo della Chiesa africana metodista episcopale.
(NEV) – “Chi si è commosso per la foto di Aylan ha ora anche il dovere di aderire e partecipare alla Campagna #Nohatespeech promossa, con la passione civile di sempre, dall’Associazione Carta di Roma (della quale è socio fondatore anche la Federazione delle chiese evangeliche in Italia – FCEI), nella quale si ritrovano anche le grandi associazioni del giornalisti italiani dalla Federazione della stampa all’Ordine dei giornalisti”, ricorda Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, tra i promotori della raccolta firme. “Il testo della proposta lo troverete su Change.org – prosegue Giulietti –, ma quello che più conta è lo spirito che la anima, la spinta ad aprire una discussione, critica e autocritica, dentro e fuori le redazioni”. L’appello della Carta di Roma, invita a non dare più spazio ai seminatori di odio, a non essere i loro complici, a contrastare il linguaggio dell’odio.
(NEV) – “Albert Schweitzer, l'avvenire di una vocazione è il titolo della manifestazione che l'Unione delle chiese protestanti dell'Alsazia e della Lorena, in collaborazione con numerosi altri enti, dedica alle commemorazioni del “Dottore della giungla”. Sono infatti tre gli anniversari che riguardano Schweitzer: il principale è il Cinquantesimo della sua morte, avvenuta il 4 settembre 1965, il centenario della formulazione del suo pensiero etico di “rispetto per la vita”, e i 140 anni della sua nascita. Il programma della manifestazione prevede una serie di eventi – conferenze, concerti, dibattiti, mostre, rappresentazioni teatrali - che si dipanano lungo alcuni mesi e che riguardano i tanti ambiti ai quali Schweitzer si dedicò: la teologia, la filosofia, la musica e la medicina. La figura di Schweitzer è legata alla sua opera in Gabon, dove costruì l'ospedale di Lambarené; per il suo impegno per la pace fu insignito nel 1952 del Premio Nobel.
(NEV) - “Reimagining Europe” è il nuovo blog promosso dalla Chiesa d'Inghilterra e dalla Chiesa di Scozia in vista del referendum del 2017 sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione Europea (UE). Ispirandosi al recente referendum sull'indipendenza scozzese, nell'ambito del quale la Chiesa di Scozia si è proposta come luogo d'incontro, mediazione e riconciliazione su una questione che ha diviso l'elettorato, il sito vuole ospitare un dibattito il più ampio e approfondito possibile su una questione che si preannuncia altrettanto calda. ”Reimagining Europe” non intende infatti affermare una linea editoriale pro o contro l'UE, bensì promuovere degli interventi che, da più punti di vista, offrano nuove prospettive sulle relazioni future tra il Regno Unito e l'Europa (https://reimaginingeurope.wordpress.com/).
(NEV) – La Riforma protestante sarà al centro della seconda edizione del “Festival della Teologia del Triveneto” (progetto “Coniugium quoddam Dei et hominis est religio”), che si terrà dall'8 al 26 settembre prossimi in più città del nord-est (Bolzano, Bressanone, Trento, Verona, Trieste). Nell'approssimarsi del 500° anniversario della Riforma nel 2017, l'iniziativa si propone di presentare tale tema al grande pubblico attraverso un doppio approccio: da un lato, ripercorrendo idealmente a ritroso il percorso di formazione dell'età moderna, la manifestazione esamina la Riforma a partire dalla storia delle idee occidentali del tardo medioevo, con particolare attenzione alla teologia, vista quale fattore di unità dei successivi saperi secolarizzati; dall'altro, concentrandosi non solo su Lutero, ma anche su altri grandi riformatori del Cinquecento – e intendendo con il termine “riforma” anche la Riforma o Controriforma cattolica – e su alcuni tra i maggiori scrittori cristiano-eterodossi di quel secolo, essa si interroga su quale ruolo tale epoca storica rivesta per la cultura e società contemporanee. Tra i numerosi accademici di università italiane, svizzere, britanniche e tedesche, segnaliamo Sergio Rostagno, professore emerito di teologia sistematica alla Facoltà valdese di Roma (https://isr.fbk.eu/it/eventi/8-26-settembre-2015-festival-della-teologia).
(NEV) – A Ruse in Bulgaria si riunirà dal 13 al 16 settembre il Consiglio metodista europeo (EMC), l'organo di collegamento delle chiese metodiste d'Europa. Tra i temi in programma ci sarà una sessione dedicata alla questione delle migrazioni in Europa, e una alla sfida dell'intercultura, la prima affidata alla relazione di Alessandra Trotta, presidente dell'Opera per chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI), la seconda condotta da Yann Redaliè, professore di Nuovo Testamento presso la Facoltà valdese di teologia di Roma. I lavori dell’EMC sono anticipati dalla conferenza della Società storica metodista mondiale – Sezione Europa, che si tiene ogni sei anni, e che questa volta ha come tema d'approfondimento “Chi ha evangelizzato l'Europa? Il ruolo delle donne metodiste nella missione”.
(NEV) - “La logica del disinvetimento non potrebbe essere più semplice: se è sbagliato distruggere il clima, è sbagliato trarre profitto dalle macerie” ha dichiarato il pastore Henrik Grape, rappresentante del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) alla conferenza sul disinvestimento tenutasi a Parigi il primo settembre scorso con il titolo “Basta investire sul fossile, combattere il cambiamento climatico” (http://www.globalgreens.org/news/international-conference-divestment-paris-0). La conferenza ha approfondito i temi del crescente movimento contro gli investimenti nelle risorse fossili, a favore invece delle energie sostenibili. “Le nazioni povere delle aree tropicali stanno già sperimentando i disastri climatici – ha aggiunto Grape -. Il disiventimento nelle risorse fossili è una questione etica, e in base a criteri etici il CEC ha deciso di non investire su tali risorse. Dobbiamo essere coerenti con quello che diciamo”. Decisioni simili sono state prese dalla chiesa luterana in Germania e da quella metodista in Inghilterra negli scorsi mesi.
(NEV) – Il Consiglio italiano per i rifugiati (CIR) promuove per il 2015 la seconda edizione del concorso per cortometraggi brevi - della durata massima di due minuti – con scadenza prorogata al 30 ottobre. Il bando è disponibile sul sito del CIR (www.cir-onlus.org) ed è rivolto a tutti coloro che intendono raccontare, con il linguaggio cinematografico e il proprio originale punto di vista, il mondo dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Il progetto è sostenuto da Mediterranean Hope progetto della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) e dal Rotary E-Club, Rom@.it. L'iniziativa è sostenuta da personalità del mondo della cultura e dello spettacolo che fanno parte della giuria e potranno presentare, fuori concorso, dei propri contributi sul tema del diritto d'asilo, tra questi: Roberto Faenza (presidente), Monica Guerritore, Silvia Costa, Monica Maggioni, Mario Morcone, Gian Mario Gillio (FCEI), Walter Veltroni, Roberto Zaccaria, Christopher Hein. I tre corti vincitori del concorso otterranno rispettivamente un premio di 1.000/500/300 euro. La premiazione avrà luogo in una serata di raccolta fondi che si terrà nel mese di novembre a Roma.
(NEV) - E’ l’inchiesta “Fondi rubati all’agricoltura” di Diego Gandolfo e Alessandro di Nunzio a vincere la quarta edizione del Premio Roberto Morrione dedicato ai giovani giornalisti under 31 e sostenuto con in fondi 8 per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi. Marcella Sansoni, presidente di giuria, ha ricordato in occasione della premiazione avvenuta lo scorso 5 settembre a Riccione: “Ciascuna delle tre inchieste ha portato elementi di novità e creatività come ‘Bestiario Criminale’, dedicata al traffico illecito di flora e fauna; oppure di forte impegno civile come nel caso di ‘Obiezione Vostro Onore’, dedicata allo scandalo della non applicazione della legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza. Solo una è arrivata prima e con un buon margine di preferenze all’interno della giuria ed è ‘Fondi Rubati all’agricoltura’. Inchiesta che racconta come, grazie a contratti fantasma e minacce, una notevole quantità di terreni in Sicilia venga sottratta agli agricoltori che ne sono i legittimi proprietari per sfruttare in modo fraudolento i finanziamenti europei”. Tra i giurati anche Gian Mario Gillio, direttore responsabile dell’Agenzia NEV.
APPUNTAMENTI
MILANO – Giovedì 10, la libreria Claudiana e l'associazione Ama onlus organizzano “Come si può sopravvivere alla morte di un figlio?”, incontro con Roberta Invernizzi, autrice del libro “Capelli” (ed Enrico Cazzaniga). Alle 18, via Francesco Sforza 12a.
NAPOLI – Venerdì 11, l’associazione Tabita invita alla conferenza di Paolo Ricca su “Diaconia ed
evangelizzazione: quale rapporto?”. Alle 17 presso il Centro sociale “Emilio Nitti – Casa mia”, viale delle Metamorfosi 642, Ponticelli.
MEZZANI (Parma) – Sabato 12, il Centro evangelico di cultura invita a una conferenza di Nicola Tedoldi dedicata al pastore metodista Giovanni Ferreri, a cui il Centro stesso è dedicato. Alle 17.45 nei locali della chiesa metodista, via Mosconi 2. Segue concerto della corale metodista ghanese.
TRIVERO (Biella) – Domenica 13, il Centro studi dolciniani invita alla festa di fra Dolcino e Margherita. Presso il piazzale Margosio, sulla panoramica Zegna, alle 9.30 culto evangelico tenuto dal pastore Marco Gisola; alle 10.15 assemblea del Centro studi dolciniani, a seguire “Il disertore” canti popolari con Bernardo Beisso e Sergio Mesturini; alle ore 12,15 salita al cippo per un ricordo di Fra Dolcino e Margherita.
TORINO – Domenica 13, tappa della “Carovana per la dignità e la sostenibilità del lavoro”, organizzata dalla Commissione Globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Culto nelle chiese battiste e valdesi cittadine; dalle 14.30 interventi e laboratori su “Lavoro, vocazione al bene comune”, presso la chiesa battista di via Viterbo 119.
FIRENZE – Martedì 15, nell'ambito degli incontri ecumenici sulla salvaguardia del Creato, Giuseppe Betori e Simone Morandini presentano l'enciclica “Laudato si’. Sulla cura della casa comune”. Alle 18 presso il centro comunitario valdese, via Manzoni 21.
TELEVISIONE – Domenica 13, su RAIDUE all'una di notte circa, la rubrica “Protestantesimo” manda in onda una puntata con i servizi “La Buona Novella secondo Fabrizio de' Andrè”, “Cape Town, Distric 6”, e “Bambini di fronte a Dio”. Replica lunedì 14, sempre su RAIDUE all'una di notte circa. Le trasmissioni sono disponibili anche sul sito della RAI, attraverso il link alla pagina www.fedevangelica.it/servizi/ssrtv041.php.
RADIO - Ogni domenica mattina alle 7.35 su RAI Radiouno, “Culto Evangelico” propone una predicazione (13 settembre, pastore Daniele Bouchard), notizie dal mondo evangelico, appuntamenti e commenti di attualità. Le trasmissioni possono essere riascoltate collegandosi al sito www.cultoevangelico.rai.it.
Pare che si chiamasse Yassin
Lampedusa, Agrigento (NEV), 9 settembre 2015 - Pare che si chiamasse Yassin. Pare che Yassin venisse dall'Eritrea, che fosse stato arrestato senza motivo e chiuso in uno dei tanti lager libici, pare che abbia un bimbo e una moglie in un centro di accoglienza in Svezia e che volesse raggiungerli. Quello che è certo, è che è arrivato senza vita a Lampedusa, dove è stato sepolto pochi giorni fa. Lui sarebbe potuto arrivare qui e avere protezione umanitaria, ne aveva tutti i requisiti, eppure è stato costretto a prendere la strada rischiosa del mare che lo ha portato alla morte. La stessa storia del piccolo Aylan, e di molti altri innocenti morti in questo mare reso assassino dalle leggi degli uomini. La vicenda senza foto di Yassin ve la raccontiamo noi. Lo facciamo come abbiamo fatto per Welela, per dare una dignità a queste persone e per evitare che si perdano nell'oblio. Lo facciamo per dire che un giorno la storia farà i conti con i nostri governanti e le loro scelte politiche.
In queste settimane di agosto abbiamo visto e sentito tragedie con una cadenza continua, 50 dispersi nell'ultima settimana, corpi ustionati, mamme che hanno perso figli, fratelli che hanno perso altri fratelli. Mentre scriviamo, leggiamo inoltre che a largo di Zwuara sono riemersi i corpi di 183 persone decedute nelle scorse settimane. E' una strage silenziosa quella che va avanti. Ce ne vuole di coraggio per continuare a stare sul molo di Lampedusa e dire “Welcome in Italy” a tutti quelli che approdano.
Lillo lo vediamo con la sua tuta rossa prendere ogni volta uno o due bambini e portarli sull'autobus, lui e la sua famiglia sono l'esempio migliore di questa Italia accogliente, quella che non fa notizia perché non urla, non butta odio sulla pelle degli ultimi. Ci chiediamo, come può l'Italia restare silente davanti a una strage del genere? Nel mese di agosto sono morte nel Canale di Sicilia il doppio delle persone morte nel terremoto aquilano, dall'inizio dell'anno 10 volte tanto. Nei prossimi mesi la tragedia continuerà, così, come se niente fosse, onda dopo onda.
In pochi hanno capito che per come partono queste persone dalla Libia, nonostante la bravura di chi salva in mare, l'eccezionalità è avere un salvataggio senza vittime, l'ordinarietà invece è quella della tragedia. Il che vuol dire che le tragedie di cui abbiamo notizia sono solo una parte di quelle che avvengono. Abbiamo dentro di noi lo sguardo della donna sotto shock, approdata alcuni giorni fa, che ha perso due figli in mare. Ora è nel Centro di accoglienza di Lampedusa, chiusa dentro quel recinto, nel suo dolore, senza possibilità alcuna per noi di poterla incontrare, abbracciare e portargli conforto. Durante la stagione estiva i migranti non escono dal Centro e non entra la solidarietà comune dei lampedusani, dei solidali senza divisa che arrivano da ogni parte del mondo. Il Centro potrebbe diventare, come dicono, un Hotspot, un luogo cioè per l'identificazione e il foto segnalamento dei migranti. Un nuovo nome che muta ancora una volta il senso della frontiera, che separa pericolosamente il “noi” dal “loro”. Scelte che incideranno sul destino di Lampedusa per i prossimi decenni. Anni che non saranno diversi da questi ultimi, perché guerra e impoverimento continueranno a crescere come i flussi migratori che si sposteranno nel pericolo senza vie legali di fuga. Ci saranno insomma altre tragedie, ma di questo non ci pare ci sia una consapevolezza da parte di chi ci governa.
L'Europa oggi sembra però cambiare il proprio rapporto rispetto ai rifugiati ed è una cosa positiva sulla quale lavorare. Il vento che hanno mosso i siriani in marcia sulle rotte dell'est, si è beffato delle frontiere e del filo spinato. Vedere moltissimi cittadini esprimere una sincera solidarietà verso i profughi che stanno coraggiosamente attraversando le frontiere offre a tutti noi una ventata di speranza, speranza che non tutta l’Europa si faccia trascinare da politiche di odio e chiusura. Allo stesso tempo quello che vediamo dinnanzi a noi è anche un’Europa che ha deciso di scegliere, in maniera arbitraria, di separare le caselle tra migranti economici e rifugiati, e tra i rifugiati stessi dando la preferenza ai siriani e agli eritrei. Popolazioni che scappano indubbiamente da situazioni terribili ma il resto dei profughi, quello che avanza, è eccedenza che rischia di finire recintata nel filo spinato nel migliore dei casi, o in fondo al mare nel peggiore dei casi.
Lo sguardo di Scicli
di Osvaldo Costantini
Comprendere la violenza. Storie di ordinaria accoglienza
Scicli, Ragusa (NEV), 9 settembre 2015 - “Vorrei andare a Bari”, spiega Perfect, in un inglese ottimo. È alla Casa delle Culture–Mediterranean Hope da pochi giorni e ci spiega che, per una questione di soldi, è partita da sola con le due bambine lasciando il marito in Libia. I due erano scappati insieme dalla Nigeria, per questioni legate ai conflitti religiosi nel paese, ed avevano vissuto a Misurata per circa due anni. Perfect è preoccupata per le sorti del coniuge, ma ripete di voler andare a Bari, dove ha una zia. Lì potrà sviluppare il suo progetto di vita, non solo basato sulla ricerca di un buon lavoro, ma anche sul sogno di studiare per diventare un avvocato. In un colloquio privato, racconta che vorrebbe ottenere una vita migliore in Italia. “Cosa significa una vita migliore? Cosa è?”, le viene chiesto. La risposta è affascinante: “Una vita migliore significa vivere in un luogo dove si è liberi di poter combattere per i propri diritti”. Lezioni di democrazia.
La Casa delle culture è un luogo di transito, ed è previsto che possano rimanere più a lungo solo i minori che, avendo parenti in Italia o Europa, entrano nella parte di progetto denominata “relocation desk”, ovvero le ricollocazioni tramite ricongiungimento familiare. Perfect, avendo diciannove anni, non rientra in questo ambito: gli operatori del Centro approntano un piano di accoglienza finalizzato al trasferimento mirato verso Bari. Nel tempo che trascorre al centro, vengono elaborate delle attività per la giovane ragazza, tra le quali un supporto psicologico, curato dalla psicologa dell’equipe locale di Terre des Hommes. Il supporto si focalizza soprattutto sull’ansia per le sorti del marito e per il ricordo continuo delle violenze subite in Libia. In parallelo all’espletazione delle procedure per il trasferimento, Perfect segue il corso di italiano, anch’esso portato avanti dal personale di Terre des Hommes, affinchè il suo tempo di attesa trascorso al centro si possa trasformare in qualcosa di proficuo.
L’attesa si prolunga, anche a causa del rallentamento degli uffici pubblici durante il periodo estivo e la situazione diventa sempre più stressante per la diciannovenne nigeriana. Solo con molto lavoro da parte del personale, Perfect regge lo stress di questo limbo, solo parzialmente comprensibile, in cui le lungaggini dei procedimenti l’hanno relegata. Gli operatori lavorano per accelerare il suo caso: bisogna aprire la richiesta di asilo per permettere a Perfect di ottenere il diritto di andare in uno SPRAR. Nel frattempo, il Servizio Centrale deve individuare una struttura, nella zona di Bari, disponibile ad accoglierla. Dopo un mese lo stress è alto e Perfect non lo regge: un caldo pomeriggio siciliano ha un crollo nervoso: si incammina per le strade di Scicli, seguita da alcuni operatori che tentano di tranquillizzarla, cercando di fermare le macchine per chiedere un passaggio verso la Nigeria. I passanti, un po’ preoccupati, chiedono l’intervento delle forze dell’ordine. Viene spiegato loro che non è un caso di disordine pubblico, che la situazione è sotto controllo, senza potergli spiegare, per motivi di privacy, che è una persona vittima di violenze e che sicuramente la vista delle divise non la tranquillizzerebbe affatto. Perfect continua a fermare macchine e a ripetere alcune, poche, parole prive di senso.
Sono gli operatori che riescono a riportarla verso il centro, dopo due ore trascorse al sole, dove Perfect si abbandona in un pianto disperato nel quale, tra i singhiozzi, tira fuori di nuovo tutti gli episodi di violenza: il tentativo di stupro in Libia, l’uccisione a sangue freddo di un amico che viveva con la coppia. È lo stress che fa riemergere il vissuto cattivo che si è instillato nella sua memoria, è la logica bastarda della violenza che agisce senza possibilità di deflusso. Dopo il pianto, Perfect è più calma, le si chiede se vuole passare una notte in ospedale, per non lasciarla sola con le bambine in quello stato. Perfect accetta un ricovero volontario al reparto psichiatrico, dove possano monitorare la sua situazione, sebbene l’accordo con i medici sia quello di non medicalizzare la sofferenza di questa donna. Il giorno successivo, Perfect, non ricorda niente dell’accaduto e viene dimessa dall’ospedale psichiatrico, per tornare a parlare di nuovo con gli operatori e prendersi cura delle figlie. Chiede ancora del trasferimento che, per fortuna, arriva dopo qualche giorno, dando allo staff il tempo di effettuare un monitoraggio sul suo stato di salute mentale, attraverso delle schede appositamente approntate dalla psicologa.
L’intero staff della Casa delle Culture ne esce provato, ma allo stesso tempo rafforzato e con la consapevolezza che le vittime di violenza possono avere atteggiamenti per noi poco chiari, ma che il ruolo dell’accoglienza è anche comprendere gli effetti di quella violenza e dello stress causato dalle lunghe attese del sistema di accoglienza. Il ruolo della Casa delle Culture, ci diciamo nel corso di una riunione, è quello di mettere capo ad azioni mirate, basate sull’analisi delle specifiche vicende individuali, sul continuo interrogarsi circa il significato delle proprie e delle altrui azioni, su una comprensione a tratti necessitante di una momentanea sospensione del giudizio di valore, delle modalità con le quali le azioni del presente sono influenzate dal vissuto passato. Ancora una volta, comprendere significa agire soprattutto attraverso un approccio all’alterità che sia comprendente, riflessivo e basato su analisi che tengano conto della complessità di queste situazioni. Altrimenti è solo pietà e carità, non accoglienza.
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