Bergoglio e le lusinghe della tribuna televisiva - Aceb_PugliaBasilicata

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2006/2024 -  ANNO XVIII  17 novembre  2024
"Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo" (Galati 6:2)
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Bergoglio e le lusinghe della tribuna televisiva
 
Nicola Pantaleo
Vi sono trasmissioni televisive che mettono in scena incontri con personaggi di grande spes-sore che però rischiano di appa-rire, invischiati nei meccanismi un po' spersonalizzanti del mez-zo televisivo, al di sotto delle loro potenzialità comunicative. Il mezzo nella sua spietatezza espositrice e nelle sue leggi sem-plificatrici può persino alterare il pensiero autentico di chi vi si sottopone. La memoria torna ad una delle personalità religiose considerate la più mediatica della storia della Chiesa romana, Giovanni Paolo II, inseguito co-stantemente dalle TV e capace di orientare verso di sé un am-plissimo consenso di massa at-traverso un uso sapiente degli slogan che oggi chiameremmo hashtag. La sovraesposizione mediatica lungi dal consumare il suo messaggio di una chiesa vin-cente anche sugli equilibri politici (non si dimentichi il ruolo giudi-cato decisivo nella caduta dell’ URSS e dei regimi satelliti dell’ Europa orientale) ne amplificava il potere di suggestione popo-lare. Wojtyla era a suo agio nel-la sua Chiesa, non ne ha messo mai in discussione le strutture e l’organizzazione e ne ha esaltato la superiorità morale e l’ascen-dente culturale.
Dopo il breve intervallo del pontificato di Ratzinger, maestro di dottrina e poco propenso a esibizioni mediatiche, che per primo tuttavia non esitò a de-nunciare le brutture e le tare na-scoste della Curia vaticana, arri-vando a definirle "sporcizia", giunge inaspettatamente al so-glio pontificio un vescovo "preso dall’altra parte del mondo", capace di sovvertire fin dall’esor-dio le norme rigide del cerimo-niale e di mettersi immediata-mente in sintonia col sentire popolare. La parte conservatrice, preponderante nella Curia, deve avere sperato che si trattasse di piccole idiosincrasie, di scarsa rilevanza e passeggere, di un vescovo sudamericano, lontano non solo geograficamente dalle logiche e trame di potere. Ma così non è andata. Quello che Benedetto XVI non è riuscito a fare , liberare cioè la Chiesa dal-la morsa della corruzione e del declino morale e religioso, tanto da dover compiere un atto asso-lutamente inusitato nella storia del cattolicesimo, se si eccettua il lontano precedente di Celesti-no V, dimettersi cioè da ponte-fice per favorire l’avvento di un successore auspicabilmente me-glio attrezzato per reggere la sfida, l’ha fatto mirabilmente Francesco, capace di parlare il linguaggio della gente comune e animato da irriducibile spirito evangelico.
La sua proverbiale bonarietà e il suo tratto gentile non devono però ingannare. Al fondo rivela una energia inflessibile e una chiarezza di propositi che si esprimono in azioni determinate (dalla estromissione del poten-tissimo cardinale Becciu alle epurazioni nella Banca vaticana), intese a riformare la Chiesa non solo sul piano etico e disciplinare ma anche su quello, che allarma particolarmente i suoi avversari, ecclesiologico e d’intervento poli-tico nel tessuto sociale italiano. E allora ecco la strenua difesa dei migranti, delle loro sofferenze, del loro diritto all’accoglienza contro una diffusa "cultura dell’ indifferenza" prevalente nelle so-cietà occidentali. Ecco la requisi-toria contro la guerra e le fab-briche di armi che la favoriscono e perpetuano. Ecco la rivendica-zione dell’uguaglianza sociale ed economica e la messa in stato d’accusa delle società sazie ed opulente. Ecco ancora la denun-cia dei guasti, quasi ormai irri-mediabili, delle ferite all’ambien-te, responsabili delle catastrofi ‘naturali’ che falciano le vite del-le popolazioni più povere e indi-fese. Ecco infine la condanna senza appello di tutti i sovra-nismi e populismi, incluso quello delle cattolicissime Polonia e Ungheria (e credo che ai nazio-nalisti nostrani, malgrado le loro ostentazioni di devozione cattoli-ca, siano fischiate le orecchie!).
Veniamo dunque alla "storica" intervista del papa nel corso della trasmissione "Che tempo che fa" di domenica 6 Febbraio. Qui Bergoglio è apparso perfet-tamente a suo agio nel risponde-re alle domande del suo inter-vistatore, apparso emozionato per lo scoop e più compiacente e complimentoso del solito. Oltre a ribadire i punti forti della sua vi-sione, che si è cercato di rag-guagliare sopra, papa Francesco ha affrontato, senza diplomazia e con insolita durezza, gli scan-dali e le nefandezze del potere curiale, marchiandoli come "pu-tritudine". Altrettanto esplicita è stata l’accusa di mondanità di quegli stessi ambienti che non lo amano e probabilmente tramano nell’ombra. Con grande disinvol-tura e schiettezza ha espresso le sue opinioni, ben conoscendo la potenza di propagazione del mezzo televisivo con cui si stava misurando. Non ha ceduto alle lusinghe della popolarità che  gli avrebbero consigliato una più prudente e ovattata espressione delle sue opinioni. Certo, sono rimaste nell’ombra, e neppure sollevate dall’intervistatore, le questioni cruciali su cui il catto-licesimo mostra ritardi e ambi-guità (dall’aborto al fine vita, dalla contraccezione alla pedofi-lia, dall’omofobia allo scarso svi-luppo del ministero femminile confinato al massimo a quello di diacona). Ma il risultato credo che sia stato in ogni caso defla-grante anche se in qualche mi-sura ammorbidito dalle bellissi-me metafore del "toccare" con mano le persone e le loro soffe-renze e del "guardare dall’alto in basso" solo per rialzare chi è caduto. Profeta e pastore, la TV non l’ha addomesticato alle sue ritualità e compromissioni.
Mensile - "Baribattista"  n. 122 - Marzo 2022
 

 
 
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