Colossesi 3,12-17 - Aceb_PugliaBasilicata

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2006/2024 -  ANNO XVIII  19 dicembre  2024
"Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo" (Galati 6:2)
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SERMONI


Fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù
 
Rivestitevi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di senti-menti di misericordia, di bene-volenza, di umiltà, di mansuetu-dine, di pazienza. Sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di che do-lersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi. Al di sopra di tutte queste cose rivestitevi dell'amore che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti. La parola di Cristo abiti in voi abbondante-mente, ammaestrandovi ed esortandovi gli uni gli altri con ogni sapienza, cantando di cuo-re a Dio, sotto l'impulso della grazia, salmi, inni e cantici spiri-tuali. Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù ringraziando Dio Padre per mez-zo di lui  (Colossesi 3,12-17).
 
La lettera ai Colossesi esprime una solenne confessione di fede in Gesù Cristo, che è l'immagine del Dio invisibile, per mezzo del quale sono state create tutte le cose e nel quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati e la riconciliazione con Dio. L'Apostolo scrive ai Colos-sesi per esortarli a perseverare nel-la fede senza lasciarsi ingannare da falsi maestri che vorrebbero impor-re alla comunità le regole legalisti-che e cultuali della tradizione giudaica. Egli, così, ricorda loro che Dio si è pienamente manifestato in Ge-sù Cristo. Perciò, essi hanno già ri-cevuto in Cristo tutto ciò di cui c'è bisogno per essere salvati e vivere una vita nuova in comunione con Dio. Quindi, non avrebbe senso la-sciarsi raggirare da altre dottrine o filosofie. Mediante la loro fede in Gesù Cristo, i Colossesi sono stati anche circoncisi non di una circonci-sione fatta da mano d'uomo, come alcuni vorrebbero loro imporre, ma della "circoncisione di Cristo" che consiste nell'essere sepolti con Cri-sto, mediante il battesimo, per es-sere risuscitati con lui e vivere una nuova vita nel perdono di Dio anzi-ché nel castigo della legge.
 
Ora, a partire da questa confessione di fede in Gesù Cristo, come unico Signore e Salvatore, l'Aposto-lo esorta i membri della chiesa di Colossi a vivere la loro vita in con-formità alla loro fede, spogliandosi definitivamente delle cattive abitu-dini legate alla loro vecchia umanità per rivestire quella nuova umanità, che abbiamo ricevuto in Cristo, libera dalla schiavitù del peccato. A una sana teologia, che confessa Gesù Cristo come pienezza della rivelazione e fonte di salvezza, deve dunque seguire una vita cristiana con un'etica conforme alla propria fede in Gesù. Pertanto, l'Apostolo, dopo aver ricordato ai Colossesi di spogliarsi dei loro vecchi abiti mon-dani, fatti di ira, collera, malignità e calunnia, li invita a rivestirsi delle nuove vesti che hanno ricevuto in Cristo.
Arriviamo così alle esortazioni contenute nella seconda parte della lettera: «Rivestitevi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di senti-menti di misericordia, di benevolenza, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza» (vs. 12). Questa esor-tazione oggi è destinata anche a noi, giacché, dal momento in cui il Signore ci ha rivolto la sua chiama-ta per mezzo della Parola di Cristo, anche noi siamo tra gli eletti di Dio ed essendo stati scelti da Lui e messi da parte per servirlo, anche noi siamo annoverati tra i suoi santi, da Lui amati. Se è questa la nuova identità che abbiamo ricevuto in Cristo, anche noi siamo chiamati a spogliarci degli abiti della nostra vecchia identità terrena per rivestire con Cristo gli abiti della nostra nuo-va identità cristiana, fatta non più di ira, ma di misericordia; non più di collera, ma di benevolenza; non più di malignità, ma di umiltà; non più di calunnia, ma di mansuetudine; non più di maldicenze ma di pazien-za. Queste cinque virtù che dovreb-bero caratterizzare la nostra nuova identità cristiana sono state rivestite appieno dalla persona di Gesù Cristo. L'unigenito Figlio di Dio è stato l'uomo misericordioso per ec-cellenza dal momento in cui è venuto per cercare i perduti e per per-donare i peccatori; Gesù è stato co-lui che ha espresso la sua benevo-lenza accogliendo gli emarginati e dando da mangiare agli affamati; Gesù ha manifestato la sua umiltà ponendosi al servizio degli ultimi e facendosi ubbidiente al Padre fino alla morte di croce; Gesù ci ha manifestato la sua mansuetudine pre-sentandosi al mondo non come un leone ruggente, ma come l'agnello di Dio che toglie il peccato del mon-do; Gesù ha esercitato la sua pazi-enza sopportando in silenzio le ac-cuse, gli scherni e le percosse di co-loro che lo misero a morte. Perciò, come creature nuove in Cristo, sia-mo chiamati a guardare alla perso-na di Gesù Cristo, il quale ha indos-sato alla perfezione l'abito nuovo per accedere al regno di Dio.
 
Indossare gli abiti della nostra nuova identità cristiana rinnova an-che le nostre relazioni interpersonali in famiglia, nella chiesa e nel mon-do. L'Apostolo, infatti, prosegue scrivendo: «sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi» (vs. 13). L'at-teggiamento basilare che dovrebbe caratterizzare la nostra nuova iden-tità in Cristo è il perdono: come Dio ci ha perdonati in Cristo, così siamo chiamati a fare anche noi gli uni verso gli altri. Pertanto, come disce-poli e discepole di Cristo, le nostre relazioni interpersonali dovrebbero essere improntate sul perdono. L'esercizio del perdono vicendevole sul modello di Cristo dovrebbe co-minciare in famiglia, esercitandoci insieme tra marito e moglie o tra genitori e figli a sopportare recipro-camente le fragilità, i difetti e i limiti caratteriali gli uni degli altri. La stes-sa vita comunitaria dovrebbe esse-re una sorta di palestra entro la quale ci esercitiamo insieme ad ap-prendere dal Signore l'arte della reciproca tolleranza. Siamo chiamati ad accoglierci gli uni gli altri così come siamo, con i nostri limiti e i nostri difetti, perché Dio in Cristo ci ha accolti così come siamo, riconci-liandoci a sé non per i nostri meriti ma per la sua grazia.
Come esseri umani, siamo pro-pensi ad accogliere chi ci è più con-geniale per affinità culturali o carat-teriali. Difficilmente riusciamo inve-ce ad accogliere chi è diverso da noi... La sfida cristiana consiste, pe-rò, nell'imparare ad accogliere ogni genere di persona sull'esempio di Gesù Cristo che è venuto ad abbat-tere ogni barriera etnica, sociale o culturale annunciando il vangelo del regno a ebrei e pagani, ricchi e poveri, farisei e pubblicani, maschi e femmine, giovani e anziani.
 
La capacità di sopportarsi gli uni gli altri nella reciproca tolleranza è parte integrante dell'amore cristia-no. L'Apostolo, infatti, subito dopo aggiunge: «Al di sopra di tutte que-ste cose rivestitevi dell’amore che è il vincolo della perfezione» (vs. 14). L'amore è il vincolo della perfezione perché è l'attitudine cristiana che completa la nostra nuova identità in Cristo: noi arriviamo a rivestire ap-pieno i panni di Cristo quando, al di sopra di qualsiasi altro interesse, ci impegniamo ad amare come Dio ci ha amati in Cristo, tramite un amo-re che si fa servizio gratuito e in-condizionato verso il nostro prossi-mo. Questo genere di amore (agà-pe) non si riduce a un vuoto senti-mentalismo, ma si basa sul soste-gno vicendevole e sull'impegno a prenderci cura gli uni degli altri.
L'amore di cui, come creature nuove in Cristo, siamo chiamati a rivestirci si traduce nel sopportarci e nel supportarci a vicenda, portando i pesi gli uni degli altri, sull'esempio del nostro Signore Gesù, che ci ha amati fino a prendere su di sé i pesi schiaccianti dei nostri peccati e in-chiodarli alla croce per manifestarci l'amore di Dio che "soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa e sopporta ogni cosa" (1 Cor 13,7).
 
Oltre al reciproco sostegno, l'amore cristiano ci chiama anche a ricercare l'unità e la pace a livello familiare, comunitario e sociale. L'Apostolo, infatti, scrive di seguito: «E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti» (vs. 15).  Se la pace di Cristo regna nei nostri cuori, il nostro spirito di riconoscenza verso il Signore ci spingerà ad adoperarci per la pace nei nostri rapporti fa-miliari tra marito e moglie e tra ge-nitori e figli; nelle nostre relazioni comunitarie tra fratelli e sorelle, per essere insieme un solo corpo guida-to da un solo Spirito, e nelle nostre relazioni interpersonali come cittadi-ni di questo mondo. Laddove non c'è vera pace, non può esserci ar-monia e comunione. Pertanto, co-me figli e figlie di Dio, siamo tutti corresponsabili nell'impegnarci a ri-cercare la pace e la comunione fraterna. Gesù diceva infatti ai suoi discepoli: "beati quelli che si adope-rano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,9).
La pace che siamo chiamati a ricercare non è, però, il risultato dei nostri compromessi umani, ma è "la pace di Cristo" che possiamo acquisire dalla Parola stessa di Ge-sù, il quale disse anche ai suoi di-scepoli: "vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Gv 14,27). Vogliamo dunque lasciarci educare dalla Parola di Cristo, dalla quale discen-de la vera pace. L'Apostolo infatti prosegue scrivendo: «La parola di Cristo abiti in voi abbondantemen-te; istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spiritu-ali» (vs. 16).  Quando mettiamo a tacere le nostre parole umane per dare spazio dentro di noi e tra di noi alla Parola di Cristo, l'amore ha la meglio sull'inimicizia; il perdono ha la meglio sul rancore; l'umiltà ha la meglio sull'orgoglio e la pace del Signore mette a tacere le nostre la-mentele umane e apre finalmente le nostre bocche alla lode e al rin-graziamento. E allora sì che, anzi-ché lasciarci guidare dai nostri im-pulsi umani, viviamo "sotto l'impul-so della grazia" che ci spinge a ri-cercare il bene comune e a espri-mere la nostra gratitudine al Signo-re dal quale dipende la nostra vita.
 
L'Apostolo conclude scrivendo: «Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù ringraziando Dio Padre per mezzo di lui» (vs. 17). Quest'ultimo appello riassume in sé la nuova condotta di vita che siamo chiamati a rivestire. Se vogliamo vivere una vita conforme alla nuova identità che abbiamo ricevuto in Cristo, siamo chiamati a seguire l'appello a fare qualunque cosa "nel nome del Signore Gesù" e non più nel nostro.
Ogni essere umano pensa, parla e agisce seguendo dei punti di rife-rimento derivanti dai propri condi-zionamenti culturali e dalle proprie scelte fondamentali che caratteriz-zano la propria esistenza. C’è chi vive in funzione del lavoro e del guadagno; c'è chi vive in funzione della soddisfazione dei propri piace-ri; c'è chi vive in funzione dei propri affetti familiari e così via... Ma, co-me discepoli e discepole di Gesù Cristo, noi siamo chiamati a vivere in funzione del Signore Gesù, facen-do ogni cosa nel suo nome. Gesù Cristo è infatti il punto di riferimento ultimo della nostra vita cristiana in ogni sua espressione, "in parole o in opere", perché essere cristiani è un impegno che condiziona tutto il no-stro essere: il nostro modo di pen-sare, il nostro modo di parlare e il nostro modo di agire. Pertanto, l'origine e lo scopo di ogni nostra azione non dev'essere più in noi stessi, ma in Cristo.
 
Vogliamo dunque impegnarci, con l'aiuto di Dio, ad agire in ogni situa-zione e in ogni circostanza nel no-me di Gesù e non nel nostro, affin-ché sia lui a dominare ogni nostra parola e ogni nostra azione e non più il nostro ego. E vogliamo ricer-care la sua volontà e non i nostri interessi egoistici, ringraziando sempre Dio Padre per la nuova identità che ci ha donato in Cristo Gesù.

Giugno 2021
Ruggiero Lattanzio
 

 
 
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