L'annuncio del regno di Dio - Aceb_PugliaBasilicata

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2006/2024 -  ANNO XVIII  19 dicembre  2024
"Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo" (Galati 6:2)
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ATTI 10,34-43
Libertà dell’annuncio del Regno di Dio
Luca Reina

Sono tanti gli aspetti che questo brano ci spinge ad analizzare. I giovani hanno rappresentato la prima parte della vicenda di Pietro e Cornelio che credo tutti conosciamo già. Una prima parte dalla quale, tra i tanti, i giovani hanno voluto evidenziare un aspetto particolare, un aspetto di cui siamo molto bravi a discutere, ma di cui spesso, noi per primi, ci priviamo: della libertà.
Hanno cercato di parlare di libertà dell’annuncio del Regno di Dio, e della lotta che spesso viene vissuta, lotta contro se stessi e contro la bellezza dell’essere liberi, lotta che cerchiamo di giustificare con tutti i mezzi a nostra disposizione, non ultime le Scritture.
Libertà di essere credenti in un Dio che non ci vuole ingabbiati negli schemi mentali, primo fra tutti nello schema di un Dio che somiglia tanto ad un vigile urbano, che vieta l’accesso ad alcuni per permetterlo ad altri. Non parliamo di accesso al cielo, inferno o paradiso – salute o malattia – come si diceva in una fiction di qualche anno fa; parliamo di accesso a Lui, di possibilità di arrivare a Dio, uguale e non negata a nessuno.
Qui abbiamo la vicenda, doppia, di Pietro e Cornelio: tavola imbandita con ogni sorta di animale, molti di questi ritenuti impuri per la legge levitica, ed una voce che invita Pietro a cibarsene, poiché le cose che Dio ha purificate, lui non può rendere impure.
Subito dopo viene invitato a proclamare la parola del Signore in casa di un pagano, ritenuto anche lui, in quanto centurione romano, impuro. Le radici di Pietro sono pericolosamente messe in discussione; tocca a lui, secondo la mentalità dell’epoca, difenderle.
Ma ecco lo Spirito Santo, il quale aveva parlato al cuore di Pietro, Lui sì che è libero, non guarda alle barriere mentali di Pietro, sebbene esse potrebbero trovare appoggio nella Legge.
Ma di legge non si vive, anzi, spesso si muore. Mentre i governi, parliamo di altro tipo di legge – ma comunque ritenuta, a ragione, il caposaldo di ogni civiltà -; mentre i governi, dicevamo, che dicono di essere attaccati saldamente alla legge – ma che in realtà parlano di legge mentre dalla stessa legge si fanno condannare -, cercano di trovare un modo per spremere le economiche dei vari paesi del mondo, la gente continua a morire di fame, di AIDS, di mancanza di cure, di guerre, tutto, ripeto, non perché la legge non sia buona, ma perché a guidare questi governi è rimasto solo il ricordo, il principio della giustizia della legge, avendone essi cancellato il vero senso, che è quello di rendere più agevole la vita di tutti.
Lo Spirito Santo che ha chiamato Pietro ad annunciare la libertà di Cristo dalla morte è uno spirito di libertà, molto più di quanto lo sia Pietro.
E Pietro, dopo aver riflettuto tanto, dopo essersi interrogato tante volte, dopo aver messo mano al suo interiore, capisce e cambia prospettiva. Passa dall’essere giudice al posto di Dio all’essere testimone di Dio.
 
ATTI 10,34-43
34 Allora Pietro, cominciando a parlare, disse: «In verità comprendo che Dio non ha riguardi personali; 35 ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito. 36 Questa è la parola ch'egli ha diretta ai figli d'Israele, portando il lieto messaggio di pace per mezzo di Gesù Cristo. Egli è il Signore di tutti. 37 Voi sapete quello che è avvenuto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; 38 vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Dio lo ha unto di Spirito Santo e di potenza; e com'egli è andato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. 39 E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nel paese dei Giudei e in Gerusalemme; essi lo uccisero, appendendolo a un legno. 40 Ma Dio lo ha risuscitato il terzo giorno e volle che egli si manifestasse 41 non a tutto il popolo, ma ai testimoni prescelti da Dio; cioè a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. 42 E ci ha comandato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è colui che è stato da Dio costituito giudice dei vivi e dei morti. 43 Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati mediante il suo nome».
 
Altri aspetti adesso si aggiungono a quanto abbiamo già detto.
Finalmente Pietro afferma una grande verità: ora comprendo che Dio non ha riguardi personali. Pietro adesso comprende ciò che in realtà sussiste da sempre; quella verità esistente viene adesso ad essere condivisa da Pietro. Lui apprende che Dio non usa alcuna parzialità. Questa verità sussiste da prima che lui se ne accorga, tanto che, nonostante le sue riserve, Dio continuava la sua opera di salvezza, parlando a Cornelio così come a Pietro.
Dio però vuole il bene per Pietro e non vuole che resti nel dubbio, nella disperazione data dal pensare ad un Dio disponibile solo per alcuni. Tanto che questa verità diviene per Pietro pretesto per estendere la sua opera missionaria a qualunque nazione (rif. V. 35).
Ma l’imparzialità di Dio non si mostra solo dalla parte dell’uditorio; Dio, cioè,  non è imparziale solo verso chi riceve l’annuncio, ma anche con chi, di questo annuncio, si fa portavoce. Dio è imparziale anche quando sceglie i suoi missionari e le sue missionarie, è imparziale perché ci reputa tutti e tutte degni di metterci in gioco per Lui.
Missionario. Pietro è un missionario, inviato a trasmettere non una sensazione, una moda, uno stato d’animo, un sentimento. È lì perché è stato chiamato (v. 29) ad andare, nonostante tutte le evidenze lo avrebbe portato a pensare di non poter svolgere al meglio quel compito. Diciamo che è un problema che assale un po’ tutti, non solo Pietro, e non solo noi: Mosè diceva di essere lento nel parlare, Geremia era giovane, ecc...
È un missionario ed è un testimone. Pietro proclama le meraviglie di colui che lo ha mandato (quindi non parla di se stesso), ma nel frattempo, reputando questo annuncio meritevole di essere creduto, ci mette la faccia e ne attesta in prima persona, quale testimone - appunto-, la veridicità.
Ecco che l’origine del termine “testimone” – dal greco martire - ci offre la possibilità di capire più a fondo il senso di ciò che stiamo dicendo. Martire è, infatti, quel testimone della verità caratterizzato da fede incrollabile, colui che crede a quella verità a tal punto da giocarsi tutto pur di portarla avanti; tanto che, successivamente, il termine verrà utilizzato, e poi riservato, per indicare quei testimoni che confessavano la loro fede anche a costo della loro vita.
L’apostolo Pietro sa di essere stato designato quale annunciatore di questa verità e lui ci mette la faccia, mette in gioco tutto se stesso, il suo status, la sua appartenenza ebraica, tutto, perché sa che  la verità da lui annunciata è vita in Cristo.
Pietro era un testimone oculare delle meraviglie di Dio; ci aveva vissuto insieme, aveva visto Cristo all’opera. Anche noi, contrariamente a quanto ognuno possa pensare di sé stesso/a, è reputato/a in grado, da Dio, di testimoniare la sua verità. Anche noi, infatti, siamo testimoni oculari delle sue meraviglie, perché abbiamo visto le grandi opere che Cristo ha compiuto nelle nostre vite.
Pietro ha fatto esperienza di Cristo e solo grazie a questa potrà dire al verso 36 che Cristo è il Signore di tutti. Si spinge oltre, così come oggi siamo chiamati a spingerci oltre anche noi.
Al verso 41 Pietro dice che Dio ha comandato, a testimoni prescelti, di predicare l’evangelo. Ecco il compito tanto facile e tanto difficile allo stesso tempo: da un lato non dobbiamo far altro che farci portavoce di un annuncio che non è il nostro, che ci è stato consegnato. Non abbiamo nulla da inventare, dobbiamo solo metterci a disposizione dell’evangelo che già esiste, che non dobbiamo inventare o elaborare. Ma dall’altro lato, questo compito è tanto delicato perché ci viene consegnato non un discorso futile, una teoria passeggera, ma un tesoro, una Parola che spacca la roccia e scava a fondo. Ecco allora che Dio si serve di noi, piccoli, richiedendoci di essere forti per portare un così grande peso.
Non è un annuncio nostro, dicevamo, tanto che Pietro non elabora alcuna teoria; la Parola che Pietro espone non è altro che il semplice ed efficace annuncio che da 2000 anni cambia le vite di milioni di persone. Potremmo anche tacere e lasciare che la Parola facesse il suo lavoro: ebbene, come dice il testo del profeta Isaia, essa non tornerebbe indietro prima di aver compiuto ciò per la quale era stata mandata. Sì, perché la salvezza avviene attraverso la Parola, attraverso questo semplice, quanto immenso, annuncio. E si tratta di una salvezza costata un caro prezzo, ma offerta per tutti.
Pietro lo capisce, capisce che non è più possibile pensare di essere giudeo per essere salvato; capisce e ci fa capire finalmente che Dio apre le porte del suo regno anche a coloro ai quali, per varie ragioni, le avevamo chiuse.
Capisce che Dio non è settario, tanto che chiama il più zelante dei giudei a portare questo lieto annuncio ad un pagano. Dio portò salvezza in quella casa grazie all’opera missionaria di un uomo che si era reso disponibile al servizio. Ancora oggi Dio chiama noi, singoli, membri di chiese e, insieme, chiese membro di una più grande famiglia, a continuare quest’opera, instancabilmente, divenendo uomini e donne in missione, testimoni a qualsiasi costo dell’evangelo di Cristo; ci chiama a metterci la faccia, a portare avanti un lavoro iniziato 2000 anni fa e non ancora conclusosi. Non occorrerà saper parlare bene, ma occorrerà sapere bene di CHI PARLARE.
Che il Signore possa rendere le nostre chiese, ed ognuno ed ognuna di noi, dei fedeli testimoni del suo annuncio. AMEN
 
 
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