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Pentecostali, una galassia in movimento - Aceb_PugliaBasilicata

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Pentecostali, una galassia in movimento





NEV - 16 dicembre 2013

Paolo Naso
L’assemblea della Federazione delle chiese pentecostali (FCP) che si è svolta a Castel Volturno (CE) dal 5 all’8 dicembre ha acceso qualche riflettore sulle novità che si registrano nel mondo variegato e complesso del italiano: tessera organica e rilevante di un fenomeno globale che alcuni osservatori ritengono il più significativo sulla scena religiosa contemporanea. Il primo elemento da sottolineare è che l’immigrazione ha sostanzialmente raddoppiato il numero dei pentecostali presenti in Italia che provengono da quel sud globale nel quale i movimenti carismatici – anche cattolici ma in netta prevalenza evangelici – continuano a crescere tanto sul piano quantitativo che della visibilità pubblica. Indicare delle cifre è sempre molto rischioso anche perché spesso si identificano i “pentecostali” con gli “evangelici” mentre i primi sono un sottoinsieme, sia pur tra i più rilevanti, dei secondi. L’altro elemento di ambiguità sta nel fatto che a volte per “pentecostali” si indicano sia quelli evangelici sia i “carismatici cattolici” che, pure uniti dallo Spirito, teologicamente e, soprattutto, ecclesiologicamente rappresentano un fenomeno diverso e distinto. Con queste premesse e con grande prudenza possiamo attestarci sulle stime più accreditate che nel nostro paese ipotizzano la presenza di poco meno di 250.000 pentecostali italiani e di quasi altrettanti immigrati. Non è un rapporto numerico di poco rilievo dal momento che, per il contesto in cui sono nati e si sono radicati, per la loro spiritualità ma anche per le persecuzioni subite negli anni del fascismo e del dopoguerra, i pentecostali italiani si sono dati un particolare profilo teologico che non sempre appare compatibile con quello di altre componenti della loro stessa galassia.
Soprattutto a partire dagli anni ’60, infatti, alcuni settori del mondo pentecostale nordamericano e di quello derivato dalle missioni che esso ha prodotto, si sono progressivamente staccati dal nucleo forte dei valori riformati, pur ben presenti all’origine del movimento, per enfatizzare altri elementi come le benedizioni materiali derivate dalla fede in Dio, il protagonismo di predicatori e profeti famosi per i miracoli che operano, un rapporto a volte molto stretto e soffocante con la politica e con la cosiddetta “destra religiosa”. Fenomeni di questo tipo in Italia sono stati molto marginali ma oggi, con la presenza di immigrati e missioni ad essi organicamente connesse, diventano invece più visibili e rilevanti. D’altra parte, per molti immigrati la chiesa pentecostale e la comunità di sorelle e fratelli che si riuniscono in essa costituiscono un referente sociale di primaria importanza materiale, morale e spirituale. Lo si può verificare proprio a Castel Volturno, in un’area socialmente e culturalmente deprivata nella quale sorge un numero rilevante di chiese pentecostali, soprattutto africane. Le si vedono sulla via Domiziana, ormai quasi una Church Street, dove a qualsiasi ora del giorno e talvolta della notte è possibile trovare gente che canta e che prega nelle forme vibranti e fisiche tipiche sia della tradizione africana che di quella pentecostale, in un mix culturale e religioso che non resta inosservato. Queste chiese sono luoghi di senso che potrebbero svolgere un ruolo chiave a sostegno di processi di integrazione e di coesione sociale. Accade solo in qualche caso, e nell’assoluta disattenzione delle istituzioni che non colgono la potenzialità di comunità che, se opportunamente riconosciute e orientate, potrebbero svolgere la funzione di veri e propri vettori sociali per l’integrazione e la crescita del territorio in cui operano.
L’altro grande tema che interroga il pentecostalismo italiano è la sua forma organizzativa, frammentata in decine di denominazioni ciascuna con la sua storia, la sua identità, la sua particolare teologia. A questo riguardo proprio la FCP sta tentando una strada diversa e inedita: federare senza uniformare, collegare senza centralizzare alcune componenti della galassia pentecostale. È un tentativo importante, avvalorato e rafforzato da una grande impresa che impegna alcune componenti della FCP: la costituzione della Facoltà pentecostale di Scienze religiose di Aversa. Per il mondo pentecostale, istituire un polo accademico per la formazione di pastori, predicatori e laici qualificati teologicamente non è scelta ovvia o scontata. Il soffio dello Spirito, certo, ma anche il rigore della ricerca teologica ed esegetica. Altro elemento di interesse, la disponibilità al confronto con studiosi che osservano il mondo pentecostale dall’esterno, come per altro è avvenuto nel corso dell’Assemblea della FCP.
Infine, il nodo del rapporto con il protestantesimo storico, almeno in apparenza complicato più da differenti posizioni in materia etica che dalle storiche differenze dogmatiche. Eppure collaborazione e dialogo proseguono su settori come l’impegno per i diritti degli immigrati e la crescita di comunità evangeliche interculturali, o la difesa della libertà religiosa. D’altra parte altri settori pentecostali spingono in una direzione opposta, vorrei dire post-protestante e post-riformata, centrata più sul miracolo che sulla grazia, sull’evangelizzatore più che sulla “Sola Scriptura” o sulla “Sola Fede”.
Sin qui il pentecostalismo italiano ha sempre affermato le sue radici riformate, pur sottolineando che non è la Riforma che salva ma l’Evangelo, che la Riforma ha rimesso al centro della fede cristiana. È la sua forza e la sua originalità che l’assemblea della FCP ha ribadito, rilanciando, tra le proposte rivolte al protestantesimo storico, quella di istituire un Forum dell’evangelismo italiano, uno spazio aperto di confronto e dialogo. Un’opportunità, forse una necessità.


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