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Luca 9:1-2.10a
«Gesù, convocati i dodici, diede loro l'autorità su tutti i demòni e il potere di guarire le malattie. Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire i malati […] Gli apostoli ritornarono e raccontarono a Gesù tutte le cose che avevano fatte»
Luca 10:1-3.17
«Dopo queste cose, il Signore designò altri settanta discepoli e li mandò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dov' egli stesso stava per andare. E diceva loro: “La mèsse è grande, ma gli operai sono pochi; pregate dunque il Signore della mèsse perché spinga degli operai nella sua mèsse. Andate; ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi” […] Or i settanta tornarono pieni di gioia, dicendo: “Signore, anche i demoni ci sono sottoposti nel tuo nome”
Preghiera e missione
Ruggiero Lattanzio
Gesù manda in missione prima i dodici apostoli e poi settanta discepoli. Il numero degli apostoli rinvia alle dodici tribù d’Israele. La missione dei dodici apostoli sta dunque ad indicare che Gesù è venuto innanzitutto per annunciare l’evangelo al popolo d’Israele.
Il numero settanta rinvia invece al numero dei popoli che abitano la terra (cfr. Genesi 10). La missione dei settanta discepoli sta quindi ad indicare che il Vangelo di Gesù è destinato non solo al popolo d’Israele ma a tutti i popoli. È proprio con questo sguardo rivolto sino ai confini della terra che Gesù dice ai discepoli: "La messe è grande ma gli operai sono pochi". Gesù paragona l’umanità a un vasto campo di grano nel tempo della mietitura e i suoi discepoli sono gli operai che egli manda a mietere. Ma questo campo è troppo grande e gli operai sono pochi. Cosa fare allora? Gesù dice ai suoi discepoli: “pregate dunque il Signore della mèsse perché spinga degli operai nella sua mèsse”. Pertanto, siamo chiamati a pregare affinché il Signore susciti nuovi operai che lavorino per l’avanzamento del suo Regno.
L’impegno di ogni cristiano può essere riassunto in due termini: preghiera e missione. Il Signore c’invita tutti ad adempiere questo duplice impegno. Tutti noi siamo chiamati a pregare affinché il Signore susciti nuovi operai e, nel contempo, siamo anche chiamati ad annunciare agli altri il Regno di Dio. Gesù, infatti, non manda in missione soltanto i dodici apostoli ma manda anche i settanta discepoli. Questo per noi oggi significa che non sono soltanto i pastori o i missionari ad essere chiamati alla missione, ma ciascuno di noi è chiamato ad essere testimone di Cristo laddove vive e laddove lavora. La messe davanti a noi è grande e ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte con le proprie capacità e con i talenti che il Signore gli ha donato. Il nostro impegno missionario dev’essere, però, accompagnato dalla preghiera perché, senza l’aiuto del Signore, non si arriva da nessuna parte.
Missione e preghiera dovrebbero procedere di pari passo: non c’è missione senza preghiera e non c’è preghiera senza missione. Infatti, se ci adoperassimo per il Signore senza aggiungere la preghiera al nostro lavoro, prima o poi le nostre forze verrebbero meno e cominceremmo a sentirci frustrati e delusi, perché la messe è troppo grande per noi. Viceversa, se la nostra preghiera non si trasforma in missione, rischia di diventare una preghiera vuota. Non possiamo, infatti, pregare il Signore che susciti nuovi operai senza adoperarci noi in prima persona per Lui, perché una simile preghiera diventerebbe un modo per scaricare su altri una respo-nsabilità che è innanzitutto nostra.
Preghiera e missione vanno sempre insieme perché la preghiera anima la missione e la missione dà corpo alla preghiera. Il Signore ci chiama, dunque, ad una missione illuminata dalla preghiera, affinché Lui possa essere allo stesso tempo il contenuto e la forza della nostra missione. Siamo chiamati infatti ad annunciare Cristo con la forza stessa che viene da Cristo.
Ora, la missione a cui il Signore ci chiama è fatta di due momenti: c’è prima un andare e poi un ritornare. Questi due momenti li ritroviamo sia nella missione dei dodici sia nella missione dei settanta. In entrambi i casi i discepoli vengono mandati da Gesù ad annunciare il Regno di Dio e, in entrambi i casi, i discepoli, dopo aver compiuto la loro missione, ritornano da Gesù e gli raccontano con gioia e con stupore l’esperienza che hanno vissuto e le cose avvenute in missione: conversioni, guarigioni, libera-zioni. Andare e ritornare: in che modo oggi possiamo vivere questi due momenti dell’azione missionaria..?
1) Andare. La missione non nasce da una nostra iniziativa personale. Il nostro andare risponde a un mandato che viene da Cristo. Come il Signore Gesù mandò in missione prima i dodici e poi i settanta, così oggi Egli intende mandare noi ad annunciare al mondo il Regno di Dio. I primi discepoli ricevettero questo mandato dal Gesù terreno. E oggi, invece, in che modo il Signore ci chiama ad andare in missione? Gesù non è più con noi in carne ed ossa, ma oggi il Risorto utilizza il suo corpo, che è la Chiesa, per rivolgerci la sua chiamata e per mandarci ad annunciare l’evangelo. Paolo e Barnaba, per esempio, furono mandati dalla chiesa di Antiochia ad annunciare il vangelo ai pagani. Mentre la chiesa era riunita durante il culto, lo Spirito Santo ispirò la comunità a lasciar partire Paolo e Barnaba per il loro primo viaggio missionario. È dunque la chiesa riunita nel nome di Cristo che ci rivolge vocazione! È la chiesa del Signore che ci manda in missione. Ed è soprattutto attraverso il culto che il Signore ci mobilita ad andare fuori ad annunciare il Regno. Ogni culto dovrebbe essere da noi vissuto come il momento in cui il Signore ci interpella personalmente e ci investe della responsabilità di essere suoi testimoni nel contesto in cui ci ritroviamo a vivere, a lavorare e ad agire. In ogni culto dovrebbe in qualche modo riecheggiare l’appello del Cristo risorto: “Andate e fate miei discepoli tutti i popoli…” (Mt 28:19). Il Signore Risorto, presente nella chiesa riunita durante il culto, ci chiama tutti ad annunciare il vangelo, ciascuno con i suoi doni e con le sue capacità: “Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura” (Mc 16:15).
2) Ritornare. All’andare segue il tornare. I dodici apostoli e i settanta discepoli, dopo essere andati in missione, ritornarono da Gesù. Non solo! Secondo il libro degli Atti, anche Paolo e Barnaba, alla fine del loro primo viaggio missionario, ritornarono ad Antiochia e riferirono alla comunità “tutte le cose che Dio aveva compiute per mezzo di loro” (At 14:27).
All’andare segue sempre un tornare! Pertanto, se è nella nostra comunità che abbiamo ricevuto dal Signore il mandato ad andare in missione, è alla comunità che bisogna ritornare.
La comunità è la base missionaria da cui si parte e a cui si ritorna. La comunità è il quartier generale che ispira la missione e le dà una direzione: andare verso una meta missionaria per poi ritornare al nostro quartier generale. Ciò significa che la nostra testimonianza personale non può essere sganciata dalla nostra vita comunitaria. Al nostro andare deve seguire il ritornare perché il nostro andare è al servizio della Chiesa del Signore.
Senza questo doppio movimento di andata e ritorno, il corpo di Cristo esploderebbe: alla comunione subentrerebbe l’anarchia, alla fratellanza subentrerebbe l’egoismo e al servizio subentrerebbe il desiderio di emergere sugli altri e sulla stessa comunità. Quando all’andare non segue il ritornare, ecco che il corpo di Cristo si sgretola, ecco che nascono mille fazioni, ecco che la missione diventa l’occasione per gratificare se stessi, per riempire i propri vuoti esistenziali, per soddisfare la propria autostima e non più per rendere gloria a Dio. Quando, invece, all’andare segue il ritornare, ecco che la vita comunitaria viene incredibilmente arricchita dalle nostre reciproche esperienze che ciascuno di noi ha vissuto nella propria azione missionaria di testimonianza. Nel raccontare queste esperienze, la comunità intera viene edificata. Ed è così che una comunità cresce e riacquista entusiasmo e slancio missionario. Infatti, a questo ritorno seguirà poi una nuova andata che vivremo con maggiore motivazione e con maggiore partecipazione. Non a caso, Gesù in un primo momento mandò in missione soltanto i dodici, ma, quando questi ritornarono e raccontarono a tutti la loro esperienza, ecco che Gesù preparò una seconda missione, mandando non più dodici ma settanta discepoli.
Questo avviene realmente! Condividendo con la comunità la nostra esperienza di testimonianza, noi incoraggiamo i nostri fratelli e le nostre sorelle a uscire fuori da se stessi per parlare agli altri del Signore Gesù. E allora il cerchio della nostra missione si allargherà sempre di più e ad ogni ritorno seguirà una nuova andata, vissuta con più esperienza, con più slancio e con più partecipa-zione.
Fratelli e sorelle, se ci limitiamo a vivere la nostra azione missionaria in maniera isolata, non arriveremo molto lontani perché, di fronte alle difficoltà o ai rifiuti che riceveremo, sarà facile scoraggiarci e gettare la spugna. Ma, se impareremo a vivere la nostra azione missionaria in stretta comunione con la chiesa del Signore, allora la nostra testimonianza personale sarà benedetta grandemente, perché ci sarà una comunità a pregare per noi, ci saranno dei fratelli e delle sorelle a incoraggiarci e potremo così sostenerci gli uni gli altri nel nostro essere testimoni di Gesù Cristo.
Vogliamo, allora, cominciare a pregare affinché il Signore susciti nuovi missionari nella sua chiesa.
Vogliamo anche pregare af-finché tutti noi, nel nostro piccolo, possiamo essere testimoni del nostro Signore.
E vogliamo, infine, pregare affinché ogni nostra azione missionaria comprenda un andare illuminato dal Signore e un ritornare che porti frutto per l’edificazione del corpo di Cristo, che è la chiesa, e per la gloria di Dio Padre.