SALUTE - L'erba del campo - Aceb_PugliaBasilicata

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2006/2024 -  ANNO XVIII  17 novembre  2024
"Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo" (Galati 6:2)
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SALUTE
 


L’ERBA DI CAMPO E’ SEMPRE LA PIU’ VERDE



Spesso commestibili, salutari e gustose. Sono le erbe selvatiche (e ormai dimenticate).
Si intensificano studi e ricerche che ne evidenziano l’efficacia.
Dove si trovano e a cosa fanno bene.
Indirizzi utili ai corsi mirati per il riconoscimento. Il nostro ricettario

«Hanno nomi poetici, secondo l’uso che se ne fa: erba della febbre, della donna battuta, dei tignosi, delle cadute, del centauro, degli asini,  dei calli, fior di passione, ecc.». Così scrive il celebre fitoterapeuta Maurice Mességué nel suo Ha ragione la natura a proposito dei «semplici», i più antichi rimedi erboristici. Sono erbe salutari, spesso pure commestibili, capaci di aggiungere una nota in più alla tavola. L’ideale è cercarle direttamente nei campi e nei prati ormai ammantati dal tenero verde primaverile; così potremo unire l’utile al dilettevole, facendo del movimento, respirando aria più pulita, riposando mente e spirito.
Purtroppo, la sana abitudine di mettere il cestello al braccio, è ormai praticata solo da pochi anziani. Eppure, è questa una delle novità principali, anche la ricerca scientifica sostiene il valore del prodotto selvatico rispetto a quello coltivato, perciò il recupero diventa indispensabile.
Spontaneo è meglio
Erba di vento, caccialepre, strigoli, barba di becco… ogni zona d’Italia ha nomi evocativi per designare questi tesori comuni che si chiamano erbe selvatiche, radicate profondamente nella cultura umana e parte integrante del nostro sviluppo.
Da anni, gli studi ne evidenziano la maggiore ricchezza di nutrienti rispetto alla controparte coltivata. Solo per limitarci a quelli più recenti, una ricerca del giugno 20121 ha esaminato alcuni vegetali selvatici consumati in Spagna per valutarne il contenuto di lipidi. Benché il tenore di grassi nelle erbe sia basso, la qualità è ottimale: si tratta infatti dei polinsaturi. Le piante selvatiche hanno un ottimo equilibrio omega 6/omega 3, come si evidenzia per esempio nel rosolaccio e nella cicoria. Lo squilibrio tra questi due acidi grassi, oggi molto comune perché a tavola abbondano i cibi ricchi di omega 6 (cereali e proteine animali da allevamento intensivo), provoca un’infiammazione che predispone il nostro organismo a molte malattie.
Anche gli omega 3 sono ben rappresentati; soprattutto, sottolineano gli scienziati, nei vegetali di cui si mangia principalmente la foglia: spicca tra tutti la porcellana; un’altra pianta interessante è il lattugaccio (Chondrilla juncea). Assumere questi lipidi con le verdure è più vantaggioso che con il pesce, perché è più elevato il contenuto di vitamina E, con capacità antiossidanti. Tra l’altro, queste sostanze sono ben presenti nei vegetali selvatici: una ricerca di ottobre 20122 ha esaminato quattro specie comunemente consumate in Spagna, tra cui l’asparago selvatico e il luppolo, riscontrando un contenuto di carotenoidi più abbondante rispetto alle verdure coltivate.
Molti studi si sono incentrati sui vegetali del bacino mediterraneo, perché in passato era abitudine comune ricorrere a quanto offriva la natura per sostentarsi, come per esempio avveniva a Creta, isola greca famosa per la longevità dei suoi abitanti e, non a caso, uno studio del 20033 si è dedicato alle sue piante spontanee.
Recuperiamo, dunque, questa gloriosa e proficua tradizione battendo campi, boschi e prati lontani da fonti di inquinamento. Ma, prima di partire, informiamoci bene sulle disposizioni regionali: la raccolta di alcune piante può essere vietata o ristretta localmente.
Un’ampia scelta

Acetosa,
Rumex acetosa. Prati, campi, radure boschive e pascoli di tutta Italia possono accogliere l’acetosa, dalle tipiche foglie lanceolate. Quelle giovani e tenere regalano alle insalate un gradevole gusto acidulo e Oltralpe (ma anche in Alto Adige) sono apprezzate anche nelle zuppe. Diuretica e rinfrescante, l’acetosa è ricca di vitamina C ma pure di ossalati; per questo è da usare con moderazione, soprattutto in caso di disturbi gastrointestinali o epatici e in presenza di calcoli.

Aglio orsino,
Allium ursinum. Il suo habitat sono i boschi umidi e ombrosi, soprattutto del Norditalia. Le foglie, allungate e profumate di aglio, si raccolgono da aprile, quando cominciano a coprirsi di bianchissime ombrelle. Hanno un sapore intenso adatto per insalate, torte salate e salse. Diuretiche e depurative, sono ottime contro le eruzioni cutanee.

Amaranto selvatico, Amaranthus retroflexus, cruentus. Pianta molto invasiva, dal fusto quasi strisciante, l’amaranto è imparentato con il ben noto cereale. Se ne usano le cimette giovani, le foglie e le infiorescenze ancora chiuse, consumandole sotto forma di stufati, farce, zuppe. Il sapore ricorda quello degli spinaci, cui la pianta è affine. Privo di ossalati, l’amaranto è invece ricco di betacarotene, antiossidanti e polifenoli.

Asparago selvatico,
Asparagus acutifolius, tenuifolius. Si trova un po’ in tutta Italia negli incolti e nei pressi dei boschi. A primavera si raccoglie il turione verde e sottile – cioè il germoglio, più piccolo del tipo coltivato, ma più ricco di vitamine e minerali. Depurativo e diuretico, l’asparago selvatico è apprezzato per il gusto intenso e leggermente amarognolo. Si gusta come la controparte coltivata.

Cicoria selvatica,
tornasole, Cichorium intybus. Diffusa in prati e campi, ha le foglie profondamente incise e fiori azzurri. Le foglie tenere sono ottime nell’insalata, quelle un po’ più dure vanno cotte, preferibilmente insieme ad altre erbe perché piuttosto amarognole. Ricche di minerali e vitamine, sono digestive, depurative e disintossicanti, rigeneranti per la pelle.

Dente di leone,
tarassaco, soffione, piscialletto, Taraxacum officinale. Diffuso negli incolti, è riconoscibile per le foglie dentellate e il grosso fiore giallo che a maturazione si trasforma in un bel soffione. Diuretico e depurativo, il dente di leone è alleato del fegato e della circolazione. Ricco di calcio, potassio e vitamina C, ha un gradevole sapore amarognolo ed è ottimo in insalata, da solo o con altri «semplici». Se le foglie non sono tenere, meglio cuocerle e usarle come farcia per torte salate o come contorno. I boccioli floreali sono gustosi sottaceto e sono utilizzabili come i capperi.

Luppolo,
rufoli, bruscandoli, Humulus lupulus. Siepi, bordi dei fossi e incolti sono l’habitat del luppolo, diffuso soprattutto nel Norditalia. I suoi lunghi fusti, che si avvinghiano ovunque, producono a primavera germogli amarognoli molto apprezzati – soprattutto quelli maschili – succosi e croccanti. Aperitivi, digestivi e depurativi, entrano nella preparazione di risotti, minestre e farce.

Malva,
Malva sylvestris. Passeggiando tra campi e prati, non è difficile imbattersi nella malva, con le sue morbide foglie e i fiorellini dal tipico colore. È un’erba dolce, emolliente e antinfiammatoria. Lassativa, ricca di calcio e betacarotene, con le sue mucillagini rinfresca intestino e stomaco; con orzo o riso allevia le ulcere allo stomaco. È pure proteica e capace di abbassare il colesterolo cattivo. Le foglie sono gustose in insalata e nelle minestre (da aggiungere all’ultimo momento per via delle mucillagini). A differenza degli spinaci, non contengono acido ossalico. I fiori, che si colgono in estate, sono antiossidanti e molto decorativi.

Ortica.
Urtica dioica. Umile e trascurata, la pungente ortica è una pianta dalle cento virtù, che vive in campi incolti e radure boschive di tutta la Penisola. Ben provvista di clorofilla (sostanza anticancerogena, antianemica e antiossidante), questa pianticella regala pure vitamina E, ferro, calcio, manganese, potassio, ecc. Depura, regola le funzioni intestinali, stimola la digestione ed è particolarmente buona e gustosa se consumata in umido, nelle minestre, nelle farce di torte salate e ravioli, nei risotti. Diversamente dagli spinaci, non contiene ossalati, controindicati per i reumatici; è bene, però, non esagerare se si vogliono evitare difficoltà a urinare.


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