di Samuele Berio
Pastore Giovanni Berio
(Sanremo 28 Settembre 1873 - Lentini 9 Giugno 1938)
Il presente opuscolo è stato scritto dal figlio Samuele Berio e donato alle Chiese Battiste Italiane. Roma, 1979.
PREFAZIONEHo accettato di buon grado l’invito a descrivere – sia pure a grandi tratti – il lavoro missionario di GIOVANNI BERIO e gli atti del suo ministero. Una narrazione ricavata da testimonianze, dal consulto di documenti ufficiali e da lettere del tempo. Ho evitato di romanzare i vari episodi, lasciando parlare i fatti, come furono nella realtà. Alcuni episodi della sua vita non é stato possibile narrarli; chi avrebbe potuto fornire notizie non è più tra noi. In queste pagine sono raccolti dei preziosi ricordi a molti sconosciuti. Una lunga storia di fede. Non conobbe altro desiderio e dovere che servire il Signore, in ogni tempo: nella giovinezza, nelle afflizioni, nel dolore, nelle persecuzioni, nella malattia, sempre con lo stesso ardore contro varie difficoltà e pericoli. Nel mettere mano al controllo dei vari documenti, mi sono trovato di fronte a decisioni che, pur considerando giuste le sue legittime richieste più volte avanzate, fu costretto a rinunziare al desiderio manifestato. L’unico dovere che mi spetta e trasmetto ai posteri è: continuare ad amare la Comunità di Lentini – come un debito della mia fede – perché viva unita e compatta, a testimoniare la verità di Gesù Cristo. A coloro che l’hanno amato offro il ricordo di un uomo di preghiera, di lealtà a tutta prova, di retto sentire che, accomunava a ciò doti eccellenti di Pastore coerente, disciplinato, preciso, solerte la cui vita è stata tutto un tessuto di lavoro e di abnegazione. Di carattere leale, di cuore generoso, di costume semplice, viveva per l’opera del Signore e ad essa consacrava le sue migliori energie, sacrificando se stesso al servizio di Dio e del prossimo. Lentini fu l’ultimo campo di lavoro. Il suo ministero nella Parola, la sua umiltà, la sua fede, la sua pietà e il dono che fece della vita furono di grande benedizione alla Chiesa e da essa il Signore suscitò, dopo, un ardente discepolo: Filadelfo Maci. Mediante la collaborazione dei fedelissimi, tra i quali spiccano le figure dell’Anziano Giuseppe Arcidiacono e del fratello Salvatore, la Comunità progredì mirabilmente nella fede e nella testimonianza (1). Prima di chiudere questi cenni biografici desidero ricordare che fin dal 1934 vagheggiava il pensiero di far erigere a Lentini un decoroso edificio per il culto. Era un bisogno spirituale che sentiva, ma non poté realizzare a causa della povertà materiale. Questa la sua preghiera: “Venga il giorno benedetto che anche Lentini, storica e gloriosa città, abbia il suo tempio evangelico per far meglio irradiare la luce dell’Evangelo su quanti ancora non ne gustano il benefico effetto”. Quel pio desiderio divenne, il 29-5-1960, una consolante realtà. Formulo l’augurio che il suo esempio susciti nell’animo dei lettori, nuova fiamma alla lampada della loro fede in Cristo e nuovo coraggio di fronte alla prova e alla morte. Un vivo ringraziamento a quanti, parenti e amici, mi hanno fornito preziose notizie e la loro affettuosa collaborazione. Nello scrivere questi ricordi ho colto l’occasione per rendere un tributo di riconoscenza a Dio e, per consacrare parole di lode e di affetto a colui che fu per me padre e pastore.
Samuele Berio
GIOVANNI BERIO
Nacque a SANREMO il 28-9-1873 da una famiglia benestante. Si convertì alla fede evangelica a sedici anni, per mezzo di Ugo Janni.
Fece studi classici. Fin dall’inizio non ebbe a suo favore il padre circa la nuova via che aveva scelto, ma fu sempre sorretto e guidato dal Signore. A poco a poco, dal consiglio e dall’esempio che riceveva da parte di coloro che predicavano l’Evangelo, si formò in lui un profondo convincimento degli ideali Evangelici, ricercando nelle cose dello spirito, il bene supremo.
In seguito ebbe la ventura di conoscere il Missionario G.B.Taylor che in lui vedeva “l’apostolo, l’amico, il padre”. La benigna inclinazione allo studio, unita a uno squisito senso della rettitudine e per la vocazione ricevuta, decise di mettere da parte i suoi personali proponimenti e studiò per tre anni a Sanremo, Oneglia, Alessandria: Teologia–sistematica, apologetica, omiletica, storia geografica ed ecclesiastica.
LAVORO DI EVANGELIZZAZIONE (895-900)
Il 20-9-1870 era da pochi anni trascorso e in Italia si andava formando una nuova coscienza intorno alla libertà di culto quando il giovanissimo, con instancabile zelo, arricchito da Dio della conoscenza della sua Grazia, iniziò l’operosa vita del Missionario cristiano.
Sotto la guida del Missionario Dr. G.B.Taylor, in molti paesi della Liguria, del Piemonte, del Lazio e della Campania: Rivalta, Bormida, Acqui, Cartosio, Stauri, Montaldo, Castelnuovo, Sezze, Cavatore, Malvicino ed altri, andò predicando il glorioso Vangelo della Salute. A Sanremo, sua città natale, ad Alessandria, a Oneglia e Torino andava tenendo (con un fratello in fede e suo caro amico, certo Giacomo Bando) pubbliche conferenze intorno all’opera redentrice di Gesù Cristo.
UNA VOCE A FAVORE DELLA VERITA’ DI CRISTO
Si dimostrò anche valente scrittore e nel luglio del 1898, all’età di venticinque anni, diede vita al suo primo libro: “I PROTESTANTI” che dedicò al Missionario G.B.Taylor. Nell’ambiente evangelico e della stampa di quel tempo fu molto apprezzato. Ebbero parole di lode per l’autore che aveva saputo colmare una lacuna nella letteratura, da tutti vivamente sentita e lungamente deplorata. Fecero seguito altre pubblicazioni: “GLI ERRORI DEL PAPISMO” ed altre ancora. Nel suo sconfinato amore per la verità e la giustizia, tra gli anni 1894-1937 pubblicò centinaia di articoli su vari giornali evangelici tra i quali figurano in primo piano: ”Il Testimonio” e Il Seminatore”. Fu questo un altro mezzo del quale si servì per sacri richiami; offrendo una preziosa testimonianza sulla storia della sua fede e della lotta che sostenne.
MINISTERO PASTORALE - Fede e persecuzione
Minturno – Tufo (1901-907) – Ultimati gli studi di teologia decise, nel luglio del 1901, di entrare nel Ministero come Pastore della Convenzione Battista del Sud, e fu assegnato dalla Missione a continuare l’Opera del Signore a Minturno e Tufo, con visite a Formia. Fin dall’inizio del suo Ministero a Minturno e in special modo a Tufo, sua residenza, subì le prime persecuzioni per rendergli impossibile la dimora in quel luogo e per potere coltivare l’opera del Signore. Trovò un campo pieno di difficoltà di ogni sorta. A causa della sua missione di predicatore del Vangelo ricevette dalla popolazione un’accoglienza ostile. Dapprima fu preso più volte a sassate, poi cercarono di impedirgli la libera circolazione per le strade. Per difendere l’opera del Signore e se stesso da coloro che erano la causa di persecuzioni, di calunnie e di ostacoli al lavoro di evangelizzazione, dovette lottare a mezzo della stampa: “Il Testimonio” e con fogli che faceva stampare privatamente, allo scopo di chiarire la mente dell’opinione pubblica e di far comprendere che la sua missione aveva uno scopo di bene, quello di far conoscere la Parola di Dio. Nonostante le dure lotte e privazioni di varia natura, riuscì a organizzare una Scuola serale e per mezzo di essa poté evangelizzare parecchie anime. In seguito, dopo non lievi difficoltà, poté aprire a Tufo nell’Agosto del 1902 una piccola Sala di evangelizzazione a spese dei fratelli. Purtroppo l’apertura di quella sala mise in orgasmo gli abitanti della sacrestia i quali tentarono (scrive il Berio) tantissime volte di impedire la libera riunione nel locale di culto. Ma in seguito a tante sue proteste poté durante l’ora del culto essere assistito per un anno dai carabinieri di Minturno. Ciò gli permise di svolge il culto in un clima di libertà, ed ebbe l’occasione di annunziare a molte persone la Parola della vita.
La sua giovinezza e il suo grande ardore per il Signore lo spronavano sempre più, nonostante le molteplici persecuzioni a cui fu sottoposto in quel luogo (“Il Testimonio” N- 15 – 1-8-907). Lavorò fedelmente e coraggiosamente, senza indietreggiare, diffondendo con attività e insistenza l’Evangelo, senza tenere conto della sofferenza, poiché conosceva che il soffrire era una parte dell’educazione cristiana. Tutti coloro che vorranno vivere pienamente in Cristo Gesù, saranno perseguitati (2 Timoteo 3:12). Coloro che lo videro operare in quel campo così scrivevano:
“Il nostro fratello Giovanni Berio lotta energicamente mediante la stampa contro gli errori che i preti di quel paese si sforzano di conservare. E’ la lotta della luce contro le tenebre. Iddio gli conceda vittoria” (“Il Testimonio” 1°-1-1907)
Il suo grande ideale era Cristo, ma non trascurò di amare anche l’Italia, verso la quale nutriva idee d’affetto. Amava l’Italia e desiderava ardentemente che fosse liberata da ogni schiavitù. Il suo lavoro ebbe in quel periodo qualche risultato, cioè ebbero fine le persecuzioni. Così scriveva: “Le persecuzioni sono cessate, siamo tollerati, lavoriamo, ma con poco frutto. Un po’ più di speranza contiamo per l’opera nei dintorni. A Cellole abbiamo qualche fratello, a Spigno Saturnia qualche buon amico, a Corte Onorato possiamo predicare all’aperto, a S. Maria Infante abbiamo una scuola serale ben frequentata”.
E qualche tempo dopo, visitando quel luogo che era stato affidato dalla Missione ad altro Pastore, così scriveva alla signorina Anna Creanza che poi divenne sua moglie il 31-8-908.
Cara signorina e sorella nel Signore, sono giunto qui festosamente accolto dai fratelli. Essi sono assai dolenti che io non posso fermarmi presso di loro più giorni. L’opera è sempre la stessa, come la lasciai io. Il terreno, essendo assai duro a dissodarsi”. L’esperienza e il coraggioso lavoro fatti in quel luogo, e l’ultimo giudizio in proposito, stanno a dimostrare la stranezza dell’ambiente dove era difficile trovare anime che prendevano sul serio la religione, perché schiave della superstizione e dell’errore.
Fin dall’inizio del Ministero ebbe per principio una meta da raggiungere, quella del progresso morale e spirituale dell’Opera Evangelica e, nella prima Assemblea dell’Unione Battista tenuta a Napoli il 19-21 Novembre 1907, quale segretario dell’Assemblea, fece una lunga relazione sul lavoro svolto e quello che era necessario svolgere se si desiderava progredire. Dopo aver esaminato gli scarsi raccolti nell’attività evangelica e pastorale, spiegò che le cause andavano ricercate nel fatto “che ci mancò nel passato come tuttora , l’aiuto che viene dalle donne devote al Salvatore e alla causa. Senza il loro fedele e quotidiano lavoro nelle piccole come nelle grandi cose la nostra Opera Evangelica in Italia non potrà progredire seriamente”. Egli vedeva attraverso l’esercizio attivo della preghiera e mediante la conoscenza che gli veniva dallo studio della Scrittura che le donne non dovevano rimanere estranee al lavoro del Signore. “Tutto il lavoro che a quel tempo veniva espletato, e non era poco, a ben poca cosa serviva. Occorreva la cooperazione delle donne per completare e consolidare il lavoro missionario. Come poteva essere utile l’opera delle donne? Egli spiegò: per mezzo della Scuola domenicale ; per mezzo delle riunioni di preghiera e studio biblico; per mezzo della Scuola serale delle giovinette; per mezzo della Scuola diurna per lavori femminili.
Un’opera di abnegazione
La donna cristiana dovrebbe avere una sufficiente conoscenza di quelle cose che dovrebbe insegnare agli altri; mantenersi in una posizione di umiltà, quale si addice ad una donna che fa la professione di servire il Signore; essere veramente disposta a servire il Salvatore da donna credente. Con una donna siffatta in ogni Chiesa l’Opera Evangelica in Italia riceverebbe aiuto, e in un non lontano avvenire noi non avremo più, come ora, a combattere contro tanti pregiudizi e viete superstizioni non susciteranno più tante paure ed apprensione fra il popolino. Le proposte presentate dal Berio furono approvate dall’Assemblea e l’Opera ebbe gradatamente un nuovo sviluppo.
Nell’Italia a quel tempo vi erano dei ferventi propagatori dell’evangelo che testimoniavano con la vita, e con l’aiuto del Signore riuscivano sempre ad ottenere vittoria. In molte località della penisola portarono il benefico messaggio della Parola di Dio. Fra i molti campi dove l’evangelo era annunziato, ricorderemo il paese di Bisaccia dove per la prima volta l’Evangelo fu annunziato il 3-10-901 da un uomo umile, semplice, remissivo, pieno di fede e di zelo per la causa di Cristo: il Pastore Michele Creanza , che poi divenne suocero del Berio. La missione che diligentemente vigilava sull’attività e sugli sviluppi dei vari campi di lavoro, accettò la proposta fatta dal Pastore Creanza, il 14-4-1905, che giudicò promettente il campo di Bisaccia, dove il 3-10-1901 iniziò l’opera di evangelizzazione la quale, sotto il suo impulso, con visite regolari e spesso prolungate, progredì mirabilmente, nonostante le insidie e alcune dimostrazioni di ostilità contro il gruppo evangelico. Era necessaria la presenza di un evangelista. Dopo un breve periodo di permanenza del Pastore Piacentini durato circa un anno, la Missione assegnò nel Dicembre 1907 quel campo promettente sì, ma difficile e ostile, al Pastore Berio, dove il Signore permise che fosse esposto ad una dolorosa prova.
Lotte e persecuzioni per la causa di Cristo
A Bisaccia trovò un discreto gruppo di fratelli zelanti e pieni di fervore. Nonostante le insidie dei clericali del luogo che cercavano di soffocare lo zelo e la fede degli evangelici, l’opera d’evangelizzazione procedeva in modo rallegrante. Educato fin da giovane ad una disciplina di vita civile e coerente, e dall’insegnamento che riceveva dal Vangelo, sentiva il grande dovere di dare al paese fede in Cristo e progresso civile, Il suo ardente desiderio era quello di predicare l’Evangelo a tutti (non solo nella Chiesa). Spinto dall’amore della verità e della giustizia non trascurò di difendere anche i diritti della Comunità Evangelica che spesso venivano violati e calpestati, il ministero che svolgeva a Bisaccia era guidato e sorretto dallo Spirito del Signore e nulla poté fermarlo. Per l’attiva propaganda sia orale che scritta, per lo sviluppo dell’Opera e per alcuni articoli apparsi sul Testimonio tendenti a stigmatizzare le offese ad evangelici del luogo. La mattina del 5-5-910 una massa di popolo tumultuante (”Il Testimonio” 1910 –N. 10) – capitanata da facinorosi – si recò all’abitazione del Pastore Berio minacciando la vita sua. Ma il Signore aveva disposto le cose diversamente. Proprio nel giorno della dimostrazione il Pastore con la famiglia si trovava a Bisaccia, in un luogo sicuro, e non si ebbero a deplorare incidenti. Per i suddetti eventi diversi telegrammi di simpatia e di plauso furono inviati alla Comunità di Bisaccia dalle Chiese consorelle. L’ostilità di piazza durò diversi giorni quando, dietro sollecitazione del Dott. Whittinghill, che ne informò direttamente S.E. il Ministro Luzzatti, il governo provvide ad inviare a Bisaccia il 14 Maggio un centinaio di soldati, per ristabilire l’ordine pubblico. Grazie ad una intesa avvenuta tra il Berio e il delegato Colitti di Avellino, il primo ad entrare nel paese con la scorta dei soldati e a prendere contatto con l’autorità locale, fu il Pastore Michele Creanza il quale raccontò l’odissea in un articolo apparso il 1-6-910. Per non tessere di nuovo la vergognosa storia (“Il Testimonio- 1909 – N. 16-19-24 N. 1-11-12-14) ricorderemo soltanto che i fatti di Bisaccia nati sotto un clima d’intolleranza religiosa, stanno a dimostrare in quale ambiente egli si trovava. La causa che sosteneva era una causa santa, quella di predicare l’Evangelo in ogni modo, dal pulpito, nel paese, per mezzo della stampa e recandosi in varie località: Andretta, Pescopagano, Lioni, Guardia Lombardi, Calitri, predicando l’Evangelo e denunciando i soprusi e la violazione della legge pubblica. Nel suo lavoro missionario sentiva la necessità ed il dovere di difendere e di diffondere con attività l’Evangelo, atto questo logico e giusto, consentito a tutti dalle leggi che governano i popoli civili. Per avere un’idea chiara e giusta non va dimenticato qual’ era l’atmosfera all’inizio del secolo XX- Né va dimenticato anche che egli predicò l’Evangelo in un ambiente dove trovò avversari che non sopportavano la presenza di evangelici in Bisaccia.
Perché l’Evangelo fosse predicato com’era suo intento e dovere, era necessario avere coraggio e spirito battagliero se si voleva ottenere rispetto, e i frutti che egli raccolse e che oggi vediamo a Bisaccia lo testimoniano. Quella gloriosa Comunità continua oggi a esercitare la sua grande influenza per il bene (1)
Gli articoli che scrisse in difesa e reclamando all’uopo il rispetto delle leggi, non furono ispirati da nessun sentimento di odio verso chicchessia, ma solamente dall’amore della verità e della giustizia. Quale predicatore del Vangelo e pastore di anime, non poteva avere odio verso i suoi avversari.
Mentre ci sono uomini vanitosi, cattivi, superbi, egli si professò sinceramente amico, e fu sempre il primo a porgere la mano cercando di creare un’atmosfera di buona convivenza civile nel rispetto
(1) Nel Tempio inaugurato il 13-10-1912 a ricordo della persecuzione fu posta una lapide in marmo:
“La persecuzione del 1910 – gesuiticamente organizzata – ferocemente svoltosi – eroicamente sostenuta – meritò – dalla munificenza dei fedeli Americani – questo Tempio – sacro al PRINCIPE della PACE – la chiesa di Bisaccia – al Signor J.P. Dottor Stuart – che tanta parte prese – riconoscente“).
reciproco, che è la base di ogni rapporto con il prossimo. Il Signore lo sostenne sempre; specie nei momenti più difficili e quando per ragioni contingenti, dalla Missione fu mandato nel Giugno 1910 provvisoriamente a Calitri – S. Vito. Lo ritroviamo poi nell’Ottobre 19110 a Barletta, più forte di prima e con un nuovo entusiasmo, teso sempre nello spirito verso il trionfo dell’ideale per cui Cristo lo aveva chiamato: PREDICARE L’EVANGELO AL POPOLO.
LAVORO – ALLEGREZZA - AFFLIZIONI
Dopo la persecuzione nel Marzo 1866, la comunità di Barletta, causa l’ostilità della popolazione, fu per lungo tempo abbandonata a se stessa. Ci vollero anni di paziente lavoro e di preghiere perché fosse ripreso il lavoro di evangelizzazione. Tale stato di fatto durò fino all’Ottobre 1910 allorché il Pastore Berio entrò in Barletta e ivi, contro molteplici difficoltà, ebbe dal Signore la forza di combattere l’errore con la spada dello Spirito. Riunì quei pochi fratelli rimasti sulla breccia, svolgendo il culto in una casa privata. In seguito, dopo varie peripezie e lotte sostenute con vigore e fermezza, riuscì nel Gennaio 1913 ad aprire un locale in Via Gerolamo Discanno, 16 e dedicato con grande solennità al culto il 27 Agosto 1913. Da qui, sotto la sua cura pastorale, ebbe inizio la nuova opera di evangelizzazione e di culto in un clima di rispetto e di libertà. L’attività, sorta da umili principi, gli dava un prezioso contributo per lo sviluppo della Chiesa. Lo stesso era della Scuola Domenicale e della Scuola serale. La Comunità andava crescendo di numero e di fede. Conoscitore della storia e, da profondo studioso qual era, diede alla Comunità risorta a vita novella, un maggior prestigio e onore. Dopo lungo paziente lavoro di ricerche, durato alcuni anni, riuscì a ricostruire i fatti storici avvenuti in Barletta il 19-3-1866, e a redigere la storia in ogni suo minuto particolare (storia in parte inedita). Giorno fatale quello del 19-3-1866 in cui dei fratelli che avevano il solo torto di amare e di seguire Cristo, furono fatti segno all’odio più violento (“Il Testimonio” 1936, N. 5). E nella ricorrenza del cinquantenario volle preparare qualcosa di grande e di popolare per la storia della Chiesa Evangelica di Barletta. Ecco come: A ricordare quel tragico avvenimento, domenica 19-3-1916, ore 19, gli evangelici di Barletta erano riuniti nell’oratorio della Chiesa Battista. Ivi, in forma sobria ma solenne, come lo richiedeva l’ora e l’argomento, vennero commemorate le vittime, ed a perenne ricordo dell’eccidio fu consacrata una lapide
AI FRATELLI IN CRISTO
CROSCIOLICCHIO DOMENICO
D’AGOSTINO RUGGERO
DELCURATOLO GIUSEPPE
SALMINCI ANNIBALE
VERDE MICHELE
VITTIME DELLA SOMMOSSA POPOLARE
SELVAGGIAMENTE PREPARATA ED ORGANIZZATA DAL CLERO PAPISTA
LA CHIESA EVANGELICA IN BARLETTA
Erano presenti alla cerimonia due superstiti venuti appositamente da Torre Pellice e da Torino: la signora GIULIA GAJ D’AGOSTINO e suo fratello GIUSEPPE D’AGOSTINO oltre al Pastore CIAMBELLOTTI di Bari e al Pastore ENRICO TRON quale rappresentante della Chiesa Valdese di Corato.“
Per il rispetto dovuto alla storia, do notizia di due atti. Il primo, che nel 1949 fu rimossa la lapide considerata di “tono anticlericale”. Il secondo, che nel 1954, per riparare al grave errore del precedente governo, fu rimessa la lapide in marmo, però, si commise altro errore, cancellando la data del “cinquantesimo anno” la parola “selvaggiamente” sostituita con “salvaggiamente” e facendo scomparire del tutto la data del “19 Marzo 1916”.
Nel centenario celebrato il 19 marzo 1966 tra le scarse notizie apparse sul Testimonio nel maggio 1966, nessun cenno alla lapide se è stata sistemata nel dovuto modo, né al Pastore G. Berio che dedicò anni di ricerche per riportare alla luce la storia dei fatti di Barletta sopita e sepolta da tempo. Eppure sarebbe stata l’occasione più propizia per ricordare il prezioso lavoro svolto in quella città e far conoscere la sua paziente ricerca nei vari archivi. Il 19-3-916 è una data memorabile che non può essere cancellata. Essa rappresenta un ricordo per la storia di quella Comunità e una memoria del Pastore Giovanni Berio che, con tanto zelo lavorò nella città della Disfida. Altra attività degna di nota, oltre al lavoro pastorale: nell’Aprile del 1913 organizzò tra i componenti la Comunità una cooperativa per la compravendita di farina e di altri generi alimentari “onde avviarci (come lui scriveva) verso la pratica dei principi cristiani da cui ci promettiamo un maggior sviluppo per la nostra opera in questa città”. Inoltre, durante la guerra 1915-918, volle portare il suo contributo anche a favore dei soldati. All’uopo, a scopo di bene, di assistenza e di evangelizzazione aprì a sue spese nei pressi del Distretto Militare un grande locale chiamato “Sala del Soldato”. Ivi, i soldati entravano numerosi e trovavano le comodità di avere gratuitamente carta da lettere e altro. L’autorità locale di quel tempo apprezzò molto la generosa iniziativa del Berio.
All’inizio del lavoro così scriveva: “Con l’apertura della nostra Sala del Soldato unica nel suo genere a Barletta, abbiamo ricevuto subito l’approvazione di tutti i soldati che l’hanno frequentata, e siamo anche cresciuti in maggiore considerazione fra la cittadinanza, ove contiamo molti simpatizzanti”. Il lavoro compiuto nella città della Disfida fu un lavoro molto benedetto dal Signore. Egli vide diverse anime convertirsi a Cristo e la sua allegrezza fu grande. La sua permanenza a Barletta durò fino all’Agosto del 1919, quando dalla Missione fu assegnato a Miglionico. Nel frattempo durante il trasloco, subì un’altra prova, e quella volta più dolorosa: la perdita della propria adorata consorte Anna Creanza di anni 31, che morì dopo aver dato alla luce una bambina. Fu questo un periodo molto duro per la sua anima sensibile. Perdeva così la compagna della sua vita, piena di amorevolezza, che aveva saputo validamente collaborare per la causa del Signore e con la quale sperava di vivere fino alla fine dei suoi giorni, poiché grande e immacolato era l’amore che le portava. Il Signore permise anche quella prova e rimase solo, affranto, con quattro figli in tenera età. Passò un periodo molto triste della sua vita. La morte della moglie aveva colpito il più vivo dei suoi affetti. Si fece forza per sopportare l’angoscia, e prima di recarsi a Miglionico fu necessario sistemare i bambini. Maria e Sara presso una zia di Gravina, la piccola Lidia fu data a balia. Quest’ultima morì il 26-10-920. L’altro, il primogenito Samuele, fu ospitato per breve tempo in casa del Pastore Loperfido di Matera, anima generosa e profondamente cristiana. Nel dolore, la sua fede nel Signore gli fece osservare che nel cammino della vita non vi sono sempre delle rose, si trovano anche delle spine, e spine pungenti afflizioni. E seppe trovare nella preghiera che è fonte inesauribile di ogni conforto la consolazione e la sopportazione del grande dolore.
“Quelli che sperano nel Signore acquistano del continuo nuove forze”.
Sapeva che il suo mandato non era dato dagli uomini, ma dalle mani del Signore, e sul carro che portava il suo mobilio, si recò a Miglionico e ivi, nonostante che quella Comunità fosse divisa da dissidi interni, riunì i volenterosi, i fedeli all’osservanza dei doveri e della disciplina cristiana e amministrò così, solo, con il suo dolore ancora vivo nel cuore, poiché il primo e grande amore era Cristo, servire Cristo. Non è cosa agevole descrivere le varie traversie che dovette sopportare in quel luogo disagiatissimo. La mano di Dio fu sopra di lui e con umiltà e serenità oltre all’attività pastorale, compì vari servizi curando la casa e il figlio Samuele il quale, nella sua tenera età, non gli permetteva d’apprezzare pienamente il valore del suo sacrificio. Oggi il passato si affaccia alla mente in tutta la sua realtà, rivedendo il volto di quest’uomo pio che prostrato dal dolore, sopportava con mansuetudine la grande prova, sperando nel Signore. A Miglionico rimase fino all’Aprile del 1921 quando, dovendo provvedere alla sua sistemazione e a quella dei figli, fu assegnato ad Altamura alternandosi col Pastore Ricci.
Altamura (1921-1923)
Anche in questo campo adoperò il suo talento, fu esempio di umiltà e diede la migliore energia per l’evangelizzazione, aprendo nella propria abitazione gratuitamente una Scuola serale per analfabeti. Altamura non fu per lui un luogo sconosciuto; ripetute volte, era stato a visitare quella Comunità ed aveva avuto il privilegio di predicare la Parola della Vita. La penultima visita fu in occasione dell’inaugurazione della Cappella avvenuta il giorno 8-6-1919. Il Signore che tutto vede, il 23-7-1921, gli assegnò una nuova compagna ripiena di santo zelo, di fede e di sincera pietà cristiana, che fu buona sposa, madre esemplare e ottima collaboratrice: Ester Paoloni, dalla quale ebbe una figlia cui impose il nome di Lidia, che amò teneramente. Con Ester Paoloni, iniziò un nuovo ciclo di lavoro Missionario.
Reggio Calabria (1923-1925)
Nel Luglio del 1923 fu assegnato dalla Missione a Reggio Calabria col Pastore Pugliese, alternandosi nelle varie attività pastorali e di evangelizzazione. Anche in quel campo, si prodigò in diversi modi, con umiltà. Ma ancora una volta, conosciuto dal Signore per fedele servitore, essendo necessario portare l’Evangelo in altro luogo dove vi era più bisogno, fu inviato dalla Missione nel Settembre 1925 in un paese della Sicilia: LENTINI, luogo estremamente difficile per l’Evangelizzazione e inoltre, a quel tempo, luogo delle sue aspirazioni naturali, gettando allo sbaraglio, come aveva fatto sin dall’inizio del suo Ministero, ogni interesse personale, e sempre, per servire il Signore e predicare l’Evangelo con coerenza, disciplina questa, molto dura e difficile.
Lentini (1925-1938)
Quando giunse a Lentini per curare quella Comunità nata tra gli anni 1909-1911, ma poi trascurata nel 1920 per evidenti difficoltà dell’ambiente, trovò un solo evangelico. Dalla corrispondenza Aprile 1926 il Berio scrive: – Un campo che risorge – “Quando un anno e mezzo fa, si riprese l’opera di testimonianza cristiana in questo paese, da molto tempo sospesa per ragioni varie, si ebbe a lottare fin dai primi momenti contro le più sfavorevoli circostanze; culti deserti, perché coloro che avevano già dichiarato di aderire alla chiesa evangelica s’erano poi, chi prima chi dopo, ad eccezione di uno, allontanati naufragando nel mare grande dell’indifferenza”. I vecchi battezzati, disertando i culti, avevano trascurato anche la cultura dei loro piccoli; un locale per i culti divenuto disadorno, da servire più per uso di una qualsiasi società di contadini che per il servizio religioso; e dintorno indifferenza, scetticismo largamente diffuso tra la popolazione, sia in alto che in basso… Era dunque solo con la compagna e il locale di culto vuoto. Perché quel campo deserto con poca vegetazione desse dei frutti, gli ci vollero anni di ansie, di sacrifici, di rinunzie e di preghiere. Con molta pazienza e costanza riuscì a ricostruire e organizzare una Comunità regolare composta di uomini, donne e bambini. La più grande difficoltà in Lentini era l’evangelizzazione delle donne che, a causa delle restrizioni cui erano sottoposte dalle antiche tradizioni dell’ambiente, non era facile convincerle a uscire dalla loro clausura. Il Berio, fidando nel Signore e con il fondamentale buon senso e tatto che possedeva si fece degli amici, li evangelizzò, poi aprì nella propria abitazione una scuola serale gratuitamente, e nel mentre compiva il suo ministero. Numerose anime furono convertite al Vangelo di cristo. E man mano che la predicazione dell’Evangelo schiariva un po’ la mente dell’opinione pubblica sul conto dei protestanti, diverse donne del popolo furono condotte dallo Spirito del Signore a frequentare i culti. Successivamente, nel 1931, aprì una nuova scuola – sempre gratuita – diretta dalla figlia Maria, con l’ardente assistenza della sua compagna Ester Paoloni. Si trattava di una Scuola di avviamento ai lavori femminili, e al lavoro le ragazze si dedicavano con vera passione. Dietro lo sguardo del Signore e con la preghiera del Pastore di anime, le ragazze venivano nel mentre, ammaestrate alle cose del Regno di Dio, frequentando la Scuola Domenicale. Il Dr. Whittinghill che aveva appreso del notevole progresso dell’opera a Lentini e che oltre alla Comunità vi erano 50 catecumeni, scrisse:
“Roma, 10-1-1931 Caro fratello, sono assai grato al Signore perché Egli ha voluto benedire grandemente l’opera che Ella sta compiendo a Lentini. Le faccio i miei sinceri rallegramenti per il progresso dell’opera del Signore affidata nelle sue mani”.
E in occasione di una visita fatta nel Maggio dallo stesso Missionario con la sua consorte, così si espresse: “Siamo stati consolati nel constatare il lavoro che il Signore ha dato a fare in codesto campo. Certamente la gioventù costì promette assai e spero che Iddio voglia guidarla nei suoi passi. Spero di sentire fra breve che Ella avrà già ingrandito il battistero e che servirà per battezzare un bel numero dei suoi promettenti catecumeni. Veramente la sua Chiesa è per me una grande consolazione e vorrei che tutte le chiese fossero piene di speranza come la sua”.
Per estendere la cerchia del lavoro di evangelizzazione in Lentini e nella diaspora Carlentini, e per la cura di anime disseminate ad Augusta e Siracusa, andava predicando l’Evangelo in ogni punto del paese, portando con sé opuscoli che distribuiva mediante la perseveranza e la tenacia della sua fede e con l’ardente fervore di predicatore. Non si fermò di fronte alle persecuzioni cui spesso andava incontro, ma fidando nel Signore andava avanti seminando a piene mani e riunì intorno alla tavola del Signore numerose anime. Un grande successo! L’Opera del Signore andava avanti di bene in meglio ed egli si sentiva grandemente consolato per i segni dell’assistenza Divina. Era l’anno di grazia del 1936. Lentini aveva una bella ed organizzata Comunità Evangelica.
Il Missionario Dr. Whittinghill espresse il suo compiacimento in data 20-10-1936: “La sua Chiesa è una delle migliori dell’opera nostra in Italia e se tutti facessero così bene come l’Opera sua , la nostra Missione potrebbe presentarsi in modo migliore davanti al mondo”.
LA PREGHIERA ESAUDITA
Nella pienezza del suo Ministero, nel Gennaio del 1937, improvvisamente (oltre a disturbi viscerali che già
aveva, causati dalla malaria) fu colpito da un male al cuore e con grande dolore dovette sospendere l’attività pastorale. Era grave. Coloro che lo videro notarono che era freddo e le sue carni erano divenute nere. Un torpore mortale era sceso su di lui. Il medico di casa aveva già dichiarato che non vi era più nulla da sperare, e mentre i famigliari erano affranti dal dolore, dai presenti che lo assistevano furono innalzate delle preghiere molto sentite, specie quelle del diacono Giuseppe Arcidiacono che implorò al Signore di concedergli ancora vita, affinché la Comunità non rimanesse senza guida. Con grande sorpresa e stupore (era la mezzanotte), mentre erano ancora con il capo chino in segno di preghiera, sentirono l’Amen dalla voce del Pastore e seguì poi una breve preghiera di ringraziamento fatta dallo stesso. Guardarono l’ammalato e meravigliati e sbigottiti, notarono che sul viso gli era sceso un colore roseo. Fu per tutti una grande allegrezza. Lo stesso medico dichiarò il giorno dopo che si trattava di un portento operato dal Signore.
Al figlio che si trovava a Roma, scrisse: “ Lentini, 3-2-1937 Caro Samuele, ho ricevuto nei giorni scorsi la tua lettera con tanto piacere. Grazie a Dio ora vado sempre più migliorando. Da diversi giorni mi alzo e fra poco spero di riprendere il mio servizio. Il colpo è stato forte: ho attraversato un brutto periodo di lotta con la morte, ma il Signore è stato con me e mi ha tratto fuori pericolo”. Difatti, dopo alcuni giorni di convalescenza, con somma allegrezza, riprese il suo lavoro e unitamente alla moglie, come aveva fatto per il passato, fu sempre presente ovunque vi era la malattia, il lutto, il dolore, il bisogno, portando aiuto, parole di consolazione, di conforto e di speranza cristiana. Fu prodigo senza ostentazione, dando lezioni di francese, italiano, latino, matematica, aiutando i bisognosi con i propri mezzi, vestendo coloro che erano privi dei mezzi indispensabili. Tutti ebbero da lui il conforto di un amichevole consiglio e di un pronto aiuto. Donando agli altri, aprendosi agli altri, vivendo per gli altri, acquisì nel paese una grande stima e la Comunità, con le relative attività sussidiarie: Unione Femminile, Circolo Giovanile, si andava del continuo arricchendo di nuove anime.
SOFFERENZE ED ABNEGAZIONE
A cagione del clima insopportabile e malarico, sin dal 1929 fu afflitto da infermità fisiche. Poi, gradatamente, negli anni successivi, le sue condizioni di salute andarono viepiù peggiorando. A tal uopo, e anche per alcune esigenze di famiglia, chiese più volte al Comitato degli anni 929-932-9334-936 il trasferimento in un luogo più salubre. Preferiva una località dove vi fosse il mare, poiché ne sentiva un grande bisogno per la sua salute, ma il Comitato, pur considerando benignamente il suo stato e le sue richieste, prevedendo che un suo trasloco poteva compromettere seriamente l’attuale stato di floridezza dell’Opera a Lentini, e non trovando elementi capaci da inviare in quel campo, rispose in definitiva
Roma, 28-4-1937 Caro fratello, Il Comitato dei Direttori nella sua recente Sessione si è di nuovo interessato della di Lei domanda di essere trasferito da Lentini. Il Comitato non è indifferente di fronte alle ragioni di quella sua domanda e vorrebbe poter darle soddisfazioni; ma, a parte la solita e persistente mancanza di mezzi destinati per le spese di traslochi, v’è un serio motivo che lo trattiene dal prendere una simile deliberazione; e come le è già stato comunicato precedentemente, il motivo è questo; che l’Opera a Lentini affidata alle di Lei mani, con l’aiuto di Dio è andata e va avanti bene, e il Comitato teme assai che un cambiamento di Pastore potrebbe essere molto dannoso. Ritiene perciò di doverle chiedere di rinunciare al desiderio di essere mandato altrove e di continuare a credere che la volontà di Dio è ch’Ella coi suoi rimanga a lavorare per Lui in quel campo in cui Egli ha dato la prova evidente della sua benedizione”.
E così fu e, nonostante che tre mesi prima di quella lettera stesse per morire, rimase sulla breccia continuando la sua perseveranza attiva di cui aveva dato prova. Ubbidì, e malgrado soffriva del male fisico, non si oppose, non si ribellò, ma sacrificò il suo corpo e le esigenze di famiglia per l’Opera del Signore e per il bene dei fratelli. E mentre il male fisico s’ingigantiva dentro di lui, nonostante avesse bisogno di riposo e di clima più salubre, sentiva il dovere che un Pastore di anime non doveva contendere né si doveva mai fermare, e continuò con abnegazione e con amore a servire i fratelli.
IL TENTATORE SCONFITTO
A distanza di circa un anno, nel dicembre del 1937, causa l’acutizzarsi delle sofferenze fisiche, fu costretto a compiere il ministero in casa e, nel gennaio poi, soggetto a rimanere a letto. Satana che fin dall’inizio del suo servizio lo aveva perseguitato, cercò per l’ultima volta, nell’Aprile del 1938, approfittando dello stato di salute del Pastore di anime di aver vittoria su di lui. Mise nell’anima di elementi introdottosi nella Comunità con reconditi scopi, un’idea malsana. Riuscirono a travolgere la mente di alcuni membri. Si recarono al domicilio del Pastore giacente a letto pretendendo la rinunzia al servizio pastorale. E’ facile immaginare quale fosse in quel momento il suo stato d’animo. L’uomo di Dio si raccolse certamente in preghiera avendo l’anima oppressa di amarezze e d’inquietudini, mettendo nelle mani del Signore ogni cosa. Fu questo un periodo di grande travaglio per la sua anima. Dagli intimi ebbe assistenza e conforto e nella preghiera ricevé dal Signore: doppia sapienza, doppia prudenza, doppia sopportazione e pazienza.
LA MANO DI DIO
Un mese dopo il grave episodio, precisamente la domenica del 26-5-938, quando nessuno se lo aspettava e molti erano in apprensione sulla sua salute, avvenne qualcosa di miracoloso per la storia di quella Comunità. Il Signore restituì al Pastore Berio le forze e le energie. Si recò in Chiesa per mettere ordine nelle menti confuse dal diavolo facendo osservare che era ancora il Pastore della Comunità per volere di Dio. L’adunanza che tenne quella domenica fu un giorno indimenticabile. Dalla sua bocca uscirono parole ripiene di Spirito Santo. Le sue energie e le sue facoltà si erano centuplicate. Ad eccezione dei ribelli, che mai più si videro nella Comunità. Coloro che furono trascinati dal maligno e osarono mancargli di rispetto nel momento di grave infermità, quando invece aveva più bisogno di essere curato e amato, furono presi da rimorso e, pentiti, ad uno ad uno sfilarono davanti a lui. L’uomo santo aveva vinto, riuscendo per mezzo della carità a perdonare senza riserve o norme statutarie. Dalla fratellanza che gli rimase fedele ebbe manifestazioni di riverenza e di affetto, specie dalle famiglie: Arcidiacono e Maci.
L’ORA DELLA DIPARTITA
La sua fibra non poté più a lungo resistere. Si appressava l’ultima prova. Quale fosse la forza spirituale e l’elevatezza delle sue convinzioni è dimostrata dalla viva fede in Cristo che seppe mantenere inalterata in tutta la sua esistenza tra molteplici affanni, contrasti, sofferenze, dolori, persecuzioni. Aveva ricevuto da Dio la grazia e la sapienza per vincere il maligno e la vanità del modo. Non dimenticò mai qual’ era la sua missione né il suo dovere. Il suo pensiero d’affetto e di attaccamento al servizio della Chiesa è eloquente. L’energia operosa consacrata tutta in beneficio dei fratelli desta ammirazione e devozione.
Ed ecco ora il suo ultimo pensiero. Nei giorni 7-8-9-10 Giugno del 1938, dovendosi riunire a Roma l’Assemblea Generale, impedito dalla malattia a parteciparvi poiché aggravatosi, si alzò dal letto e vergò le seguenti parole:
Lentini, 6-6-1938
“Venerabili fratelli dell’Assemblea Generale dell’unione delle nostre Chiese Battiste d’Italia – Roma. Per la prima volta mi succede di non poter partecipare ai fecondi lavori dell’Assemblea, a causa di una grave malattia con complicazioni varie durata con alterne vicende cinque mesi!”. Purtroppo però non poté continuare la lettera e inoltrarla com’era suo desiderio, poiché le forze gli vennero meno e fu costretto a ritornare a letto. E avvenne che tre giorni dopo, il 9-6-1938, alle ore 18, il Signore lo chiamò nella Patria Celeste. Negli ultimi giorni non trascurò di interessarsi della Comunità, della famiglia e del figlio Samuele verso il quale aveva una predilezione speciale. Molto sperava da lui, ma per varie avversità, gli costò pensieri. La perdita della mamma influì molto sul suo spirito, però, col tempo, il padre ebbe vittoria su di lui. Quando ebbe il presentimento che i suoi giorni si stessero per chiudere, innalzò la sua preghiera e concluse: “Signore, è arrivata l’ora della mia dipartita, accogli l’anima mia”. Fu udito cantare una dolce melodia sconosciuta e, sorridendo con la placida rassegnazione del credente, fiducioso di un migliore avvenire, passò da questa vita per unirsi con il Signore che con tanto ardore e fervore aveva amato e servito. Morì sulla breccia da vero soldato di Cristo. Presso la tomba, cosparsa di fiori, Il Pastore Balma pregò il Signore e invocò su tutti la benedizione divina, mentre s’intonavano le note dell’inno: “Oh, beati sul nel cielo…”
Addio, caro e indimenticabile PASTORE Berio! Benedetta sia la tua memoria! Le sue spoglie mortali riposano il sonno dei giusti nel cimitero di Lentini. Non mancò il ricordo e l’affetto del Missionario Whittinghill che da anni aveva apprezzato il suo valore intellettuale e spirituale. Così si espresse in una lettera il 15-6-1938: “L’opera che egli ha compiuto a Lentini è il suo monumento migliore e sono sicuro che tutta la chiesa sentirà la sua mancanza. Sarà difficile trovare un suo successore”.
PENSIERI - di Giovanni Berio
* La fede genera energia; essa riempie i credenti di pace e di forza capaci a vincere le vanità del mondo.
* Il desiderio e il bisogno di una vera concezione religiosa conducono l’uomo alla Religione del Cristo, dove egli può trovare tutto quello che inutilmente può aver cercato sempre nelle religioni umane.
* La legge morale è un’autorità assoluta e sovrana la quale si impone al volere dell’uomo per dominare le sue tendenze egoistiche e peccaminose. Essa ha per legislatore Dio.
* Le scienze umane variano, perché sono suscettibili di progresso, ma la Religione non varia, perché è la somma delle realtà.
* Il Regno di Cristo non si può estendere che a prezzo di molte sofferenze; ma il Signore è fedele e ci consola sempre e ovunque, dandoci la forza di fede necessaria per resistere. Nelle sofferenze per la causa di Cristo impariamo a conoscere la nostra debolezza, la grandezza dell’amore di Dio e la consapevolezza del Suo Santo Spirito ed a simpatizzare verso gli altri. Quanti sono stati chiamati da Dio debbono vivere in modo di essere degni di questa divina vocazione, praticando l’umiltà, la mansuetudine e la longanimità, lavorando per la mutua edificazione mediante il vincolo della pace.
* Il corpo unico della chiesa di Cristo è basato sull’unità della Persona di Cristo stesso, sull’unità della fede e sull’unità del battesimo, lottando contro le avverse forze per il trionfo della fede.
* Ogni Chiesa Cristiana deve essere una lettera aperta di Cristo, letta da tutti, poiché per mezzo di essa il mondo viene ad avere conoscenza intorno all’Evangelo e alla sua salutare efficacia.
* Il Cristo è la pietra angolare sopra la quale la Chiesa, sparsa nel mondo, poggia la sua fede e la sua speranza.
* Solo la fede in Cristo, vivamente sentita rende ogni chiesa Cristiana, al par di quella dei Colossesi, ordinata e compatta e quindi ben preparata per la resistenza contro gli assalti dei nemici, ed atta alla vittoria.