Testimonianze - SAVERIO GUARNA - una vita di missione - Aceb_PugliaBasilicata

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2006/2024 -  ANNO XVIII  17 novembre  2024
"Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo" (Galati 6:2)
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          Saverio Guarna   (24 dicembre 1935 - 12 maggio 2013)



CHIANCIANO  (25-27 novembre 2011) Una vita di Missione

In Gv 17:18 si legge che come Dio ha mandato Gesù nel mondo, così a sua volta Gesù ha mandato nel mondo i suoi discepoli.  Betsy ed io abbiamo inteso  queste parole di Gesù come dirette a noi, e abbiamo desiderato che Dio formasse le nostre vite e ci proiettasse verso il futuro.  La mia conversione a Roma nell'ottobre del 1958, quando avevo 22 anni, fu un'avventura: decisi di passare studi di teologia, da quelli di Giurisprudenza che ho concluso più tardi. Il mio desiderio di essere un missionario, che considero essere stata una chiamata, cominciò dal giorno della mia conversione e dura tutt'ora nella mia vita, e Betsy ha condiviso tutto con me, fin da quando ci siamo sposati nel 1965. Siamo stati insieme in Svizzera,  in Albania, in Afghanistan, in India e nel Belgio, ma soprattutto abbiamo realizzato la nostra vocazione in Italia con il ministero dell'evangelizzazione.  In Svizzera fondammo una chiesa di emigranti italiani a Thalwil, vicino al Seminario di Rueschlikon/Zurigo,iniziando 7 mesi dopo che eravamo arrivati per studiare teologia, nel 1965. Tornati in Italia con tre marmocchi nel 1976, mi sono occupato del ministero dell'evangelizzazione per 14 anni. Nel 1993 quando i nostri figli si resero indipendenti, eravamo pronti per andare all'estero. Andammo a Tirana, in Albania, dove fondammo una chiesa Battista e vi rimanemmo fino al 2000.  In Afghanistan
andammo a marzo del 2001 per la cura d'anime di ca. 120 missionari.  In India dovevamo gestire un pensionato battista e prenderci cura del personale e degli ospiti. In Belgio abbiamo riorganizzato una congregazione che era stata abbandonata dal pastore e si stava disgregando.  Se devo scegliere tra i paesi dove siamo stati, direi che l'Afghanistan è stato quello più affascinante. Comprende etnie diverse, il popolo è bello, intelligente, dignitoso e fiero, nonostante la povertà e le tremende difficoltà della vita di tutti i giorni. Bisogna anche sapere che i talibani non erano di Kabul: quelli che parlavano abbastanza la lingua erano di etnia pashtun, in maggioranza erano invece arabi, algerini, ceceni, ecc.

In Afghanistan  andammo all'inizio del 2001 sotto l'egida della BMS, con la quale l'Unione aveva ed ha tuttora un patto di collaborazione.  Fino all'11 settembre di quell'anno (data del crollo delle Torri Gemelle) dominavano i talibani. Non avevamo il permesso di parlare della nostra fede. Il nostro compito era di fare la cura d'anime ai colleghi e alle loro famiglie, e alternandoci nel condurre i culti.  Gli altri missionari erano tutti professionisti (medici, oculisti, ingegneri, psichiatri, ottici, ortopedici, infermiere, agricoltori) e di nazionalità diverse (finlandesi, americani, giapponesi, coreani, svizzeri,  inglesi, etc.).  Dovevamo seguire i nuovi arrivati (un turn-over di 20-30  ogni anno), spiegando loro come vestirsi e comportarsi in pubblico, la cultura del paese e incoraggiarli ad imparare la lingua.

Noi uomini ci vestivamo come gli afghani, ma non strascicavamo i sandali. Le nostre donne, straniere,  invece dovevano coprirsi tutte ma non potevano portare il burka,  per non nascondere il viso dietro il velo. E questo perché dovevano essere sempre identificate: dove andavano e perché.
Le loro donne, che vestivano il burka, invece venivano frustate dai talebani se uscivano di casa senza essere accompagnate dal marito o da un fratello. Alle 8 di sera scattava il coprifuoco, anche se non c'era guerra, perché dovevano essere tutti  controllati.  Bambini e ragazzi, tutti e solo maschi, andavano a studiare nelle moschee per essere indottrinati, stavano lì quasi tutto il giorno  imparando a memoria il Corano e un po'  di matematica e di geografia. Quando erano grandicelli i maschietti dovevano  cominciare a farsi crescere la barba. Se non avevano la barba a una certa età venivano arrestati e sparivano in qualche posto chiamato impropriamente prigione. Questo accadeva soprattutto ai giovani mongoli che erano imberbi. La stessa sorte subivano le giovani ragazze che venivano arrestate con qualsiasi scusa e stuprate; una volta rilasciate non potevano rientrar nelle loro famiglie e restavano per strada a mendicare, accovacciate per terra, a volte con un bebè fra le braccia. In casa era vietata la musica, in strada era vietato giocare.

Non abbiamo avuto elettricità o acqua corrente per alcuni mesi. Poi, dopo il crollo delle Torri Gemelle, fuggiti i talibani all'arrivo degli americani, il clima cambiò di colpo, i ragazzini che prima ci tiravano sassi gridandoci "khorregì, khorregì" (stranieri, stranieri), ora si avvicinavano chiedendoci una matita o un quaderno, ci offrivano la mano per salutarci, i ragazzi giocavano al pallone in strada. I taxi avevano la radio a massimo volume, c'era musica ovunque, bambini correvano e giocavano, le donne potevano uscire da sole, si potevano fare fotografie. Le bambine e le ragazze potevano frequentare la scuola. Vicino casa nostra c'era un gruppo di simpatici giovanotti che mi stavano sempre vicini. Si erano tagliati le barbe e vestivano, alcuni, in jeans e maglietta.   Un giorno capii che volevano un aiuto: mi domandarono come avrebbero dovuto corteggiare le ragazze che uscivano dalla moschea. Non potevo aiutarli con i miei consigli perché non potevano avvicinarsi alle ragazze e, poi, non sapevano riconoscerle sotto i burka,

Noi stranieri ci riunivamo il venerdì per il culto  in una casa  e non dovevamo  più cambiare spesso l'orario e il posto, come succedeva prima. Ora avevamo due soldati a guardia delle nostre riunioni. Quando ci incontravamo dopo la fuga dei talibani eravamo tutti più rilassati, e  venivamo raramente interrogati sulla nostra fede dagli afghani che lavoravano coi nostri colleghi. Abbiamo scoperto molti afghani che erano cristiani segreti. Li consideravamo membri delle nostre famiglie.

Vi racconto una storia. Un giorno una donna anziana che veniva da noi per fare il bucato seppe da me che Betsy stava a letto con l'influenza e mi chiese se poteva andare a vederla. Una volta lì,  si inginocchiò e pregò per lei una preghiera cristiana. L'abbracciamo commossi e dal quel giorno fu membro della nostra famiglia.  Era credente da 25 anni, ma la sua famiglia naturale non lo sapeva: l'avrebbero abbandonata o forse anche uccisa.  Un'altra storia: alla guardia notturna della casa dove abitavamo era stato rapito dai talibani il figlio di diciassette anni, perché non aveva ancora cresciuto abbastanza la barba. Non si sapeva, che fine aveva fatto.  Abbiamo pregato insieme perché era della nostra famiglia. Potete immaginarvi la sua gioia, quando il padre l'ha ritrovato, anche se in uno stato pietoso.

E noi? Betsy ed io abbiamo amato e cercato di servire i missionari, persone stupende con grande motivazione e fedeli al  Signore, sia quelli che erano in Afghanistan da tanti anni sia quelli nuovi che arrivavano.  Ma soprattutto abbiamo potuto amare uomini e donne afghane, persone meravigliose, specialmente quelli che avevano invocato Cristo nelle loro vite e che per questo rischiavano ogni giorno di essere uccisi perché considerati traditori.
Nel 2003  avevo raggiunto l'età della pensione,  dovevamo rientrare in Europa, ma l'Afghanistan e i fratelli e le sorelle della nostra "famiglia" laggiù, sono ancora nel nostre cuore. Ringraziamo Dio per le tante avventure che abbiamo vissuto  e per le tantissime gioie che abbiamo sperimentato.  La
nostra missione, iniziata a Rueschlikon nel 1965 ci ha sempre tenuti impegnati  e non si è mai conclusa (anche se siamo in pensione... non lo siamo per il Signore). Eravamo fiduciosi che il Signore ci avrebbe sempre usato e sappiamo che ci userà ancora. Betsy ed io siamo grati al Signore per le avventure, le esperienze, l'entusiasmo e la gioia che ci ha concesso, per il coraggio, l' aiuto, la pazienza, la benevolenza  che abbiamo sempre goduto... per la sua Grazia!

Un credente tedesco, Gerhard Onken, convertitosi e battezzato in Danimarca verso la fine dell'800 sentì la chiamata del Signore alla missione;  spese la sua vita da missionario nei paese dell'Europa del Est. L'Ucraina ha oggi più battisti dell'Inghilterra. Ma ci sono Battisti anche i Russia, Bielorussia, Romania, etc.  Onken coniò il detto: "Jeder Baptist ist ein Missionar", "Ogni battista è un missionario".  Il mio augurio è che ciascun battista, e specialmente oggi voi qui presenti, siate missionari dentro e fuori dell'Italia, nella vostra  città, nel vostro  quartiere, nella vostra casa... alla gloria di Dio.

Vi riferisco abbreviandolo il racconto della vocazione di Geremia 1:4-9:  "Prima che tu uscissi dal grembo di tua madre ti ho consacrato e costituito  come profeta delle nazioni".  Io risposi "Ahimè, Signore, Dio, io non so parlare, perché non son che un ragazzo". Ma il Signore mi disse: "Non dire sono un ragazzo perché tu andrai da tutti  quelli  ai quali ti manderò, e non li temere, perché io sono con te ", dice il Signore".  La vocazione di Dio è rivolta a tutti quanti: bambini, giovani, adulti ed anziani. Ogni tempo e ogni luogo sono quelli giusti se il Signore ti chiama ad essere suo missionario e sua missionaria.

      Dio vi benedica!                      Saverio  Guarna


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Il ministerio missionario di Saverio Guarna

Giovanni 17:9
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