Testimonianze - VIVIANA ARCIDICONO - Sermone: Salmo 139 - Aceb_PugliaBasilicata

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2006/2024 -  ANNO XVIII  19 dicembre  2024
"Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo" (Galati 6:2)
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    Viviana Arcidiacono    23 luglio 1979 - 17 Dicembre 2013


Salmo 139
Tu mi hai esaminato e mi conosci.

di Volpe Raffaele

È dal giorno che Viviana mi chiese di predicare sul salmo 139 al suo funerale che leggo e rileggo questo salmo. Ci ho combattuto di notte e di giorno. E qualche giorno fa, quando la situazione di Viviana stava ormai peggiorando minuto dopo minuto, mi sono tornati in mente due passi del salmo, il primo che apre e l’ultimo che chiude: SIGNORE, tu mi hai esaminato e mi conosci.  Esaminami, o Dio, e conosci il mio cuore. C’è una tensione in questo salmo, dall’ inizio alla fine. Una tensione che mi si è imposta anche contro la mia volontà. Già soltanto il fatto che il salmo si apre con un indicativo: mi hai posto sotto esame e mi hai conosciuto (e l’intero salmo non è altro che variazioni sul tema iniziale); eppure giunti alla fine si chiude con un imperativo molto umano: esaminami e conoscimi.
Ci saremmo sentiti più a nostro agio se le parti fossero state invertite: l’imperativo all’inizio e l’indicativo alla fine. Esaminami... tu mi hai esaminato; conoscimi... tu mi hai conosciuto. E invece no, è un salmo che resta spalancato, con le sue melodie, i suoi alti e bassi; resta spalancato sulla condizione umana, che non si chiude come una favola: e tutti vissero felici e contenti. Resta spalancato sulla condizione di attesa della creatura umana che interrogante alza gli occhi verso il cielo. L’imperativo che chiude il salmo non è un comando, è la domanda che noi rivolgiamo a Dio: “mi conosci?”, una domanda che diventa una implorazione: “conoscimi, più di quanto io sia in grado di conoscere me stesso”. Conoscimi, in modo che in qualche luogo, nelle tue mani forse, o nel tuo grembo o nei tuoi pensieri, possano depositarsi le ansimanti domande, le nostre paure, la nostra inconsolabile tristezza. E pur tuttavia, nonostante questa forte tensione, nonostante gli incalzanti imperativi, assaliti da un frettoloso bisogno di capire: perché tutto questo Signore? nonostante questa tensione a volte insopportabile, altre volte generativa; nonostante tutto, quell’indicativo iniziale si erge maestoso, nella sua divina tenerezza. Tu mi hai investigato e mi ha conosciuto. Signore tu hai investigato Viviana e l’hai conosciuta. Prima ancora che i medici esplorassero ogni parte del suo corpo, che i raggi x attraversassero la sua carne, che ogni genere di liquido di contrasto o di magnetiche risonanze invadessero le sue cellule; prima ancora che attenti psicologi investigassero l’anima di Viviana; prima ancora che pastori, amici, prima ancora che anche tu Marisa, che l’hai messa al mondo, tu Giovanni che orgoglioso l’hai vista crescere, tu Cristina che ci ha giocato assieme e tu Marco che di lei ti sei innamorata perdutamente; prima ancora che noi mettessimo mano intorno al meraviglioso capolavoro di Viviana, Dio l’aveva già investigata, esplorata, esaminata e l’aveva conosciuta, e quindi amata. No, non pretendo che la tensione venga armoniosamente risolta. Nessuno: Evviva, quindi! Oggi è il tempo della croce, il tempo della risurrezione è conservato in un altro luogo, a noi mortali sconosciuto.  Oggi è il tempo degli imperativi. Non sono capace, e mi dispiace, di proporvi una via breve della consolazione. La via della consolazione è lunga ed ha molte inversioni di marcia. Eppure la mia fede si è costruita ai piedi di quel crocifisso che nell’atto di morire atrocemente è stato riconosciuto, da chi lo aveva crocifisso, come il Figlio di Dio. La fede cristiana non è rimozione del crocifisso, ma annuncio del crocifisso risorto. La risurrezione non è una gomma da cancellare. La consolazione non è rimozione della memoria del dolore di Viviana, ma il suo vivo ricordo nell’attesa quotidiana dell’amore di Dio.
C’è un sottofondo alla tensione che noi umani porteremo nei muscoli del nostro cuore fino all’ultimo giorno; un sottofondo che sostiene il fondo fragile della nostra esistenza e le indica amorevolmente una destinazione; c’è un sottofondo che è simile ad un suono familiare e rassicurante, simile ad un luogo ed un odore che ci fanno sorridere, un volto che amiamo, unabbraccio, un sorriso, un arrendersi fiducioso, l’odore del mare e della primavera. Simile a quel serrare i denti per non lasciarsi andare in un pianto a dirotto, il pianto dei figli di Dio che smarriti si aprono al grande sottofondo dell’amore di Dio, della grazia di Dio. Noi non vogliamo e non possiamo sciogliere la tensione, non possiamo mitigare i ricordi dolorosi della sofferenza di Viviana, ma vi prego, sintonizziamoci su quel flebile suono, su quel leggero sussurro, quel sottofondo dello spirito della vita. Tu ci hai investigato e ci hai conosciuto. Mentre noi smarrivamo le nostre certezze e le nostre conoscenze. Di fronte alla malattia di Viviana abbiamo dovuto tutti ammettere di non sapere. Ci siamo tutti accorti di essere possessori di una ignoranza sulle cose essenziali. Eppure per ciascuno di noi Viviana è stata una direttrice d’orchestra del grande sottofondo. Ha diretto con maestria il sorriso di Dio con i suoi sorrisi, ha diretto il dolore e la tristezza di Dio con il suo dolore e la sua tristezza, ha diretto la speranza di Dio con la sua speranza che non ha mai smesso di nutrirsi, giorno per giorno, della sua anima, più velocemente del suo tumore assassino che si nutriva del suo corpo. SIGNORE, tu mi hai esaminato e mi conosci. Tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, tu comprendi da lontano il mio pensiero. Tu mi scruti quando cammino e quando riposo, e conosci a fondo tutte le mie vie. Poiché la parola non è ancora sulla mia lingua, che tu, SIGNORE, già la conosci appieno. Tu mi circondi, mi stai di fronte e alle spalle, e poni la tua mano su di me. La conoscenza che hai di me è meravigliosa, troppo alta perché io possa arrivarci. La conoscenza che hai di me è troppo alta perché io possa arrivarci. Mi conosci più di quanto mi conoscano mia madre e mio padre, più di quanto mi conosca il mio amato che corre come una gazzella sui monti; sì, mi conosci persino più di quanto io conosca me stessa. Mi hai conosciuta quando mi affaccendavo nelle questioni umane, quando arredavo casa. Prima che suonasse la sveglia la mattina, tu eri lì che vegliavi sul mio sonno. Eri lì mentre uscivo di casa ed eri lì quando tornavo. Anticipavi le mie parole prima che prendessero forma sulle mia labbra. Eri intorno a me, sopra di me, dietro di me, davanti a me, dentro di me. Eri la vita, mentre vivevo. Eri il mio respiro, i miei progetti. Dove potrei andarmene lontano dal tuo spirito, dove fuggirò dalla tua presenza? Se salgo in cielo tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti, eccoti là. Se prendo le ali dell'alba e vado ad abitare all'estremità del mare, anche là mi condurrà la tua mano e mi afferrerà la tua destra. Se dico: «Certo le tenebre mi nasconderanno e la luce diventerà notte intorno a me»,  le tenebre stesse non possono nasconderti nulla e la notte per te è chiara come il giorno; le tenebre e la luce ti sono uguali. Sei tu che hai formato le mie reni, che mi hai intessuto nel seno di mia madre. Poi è giunta la malattia, come uno spirito maligno che si è impossessato di me. È giunto a dettare la sua agenda, come un dio. È venuto a stravolgere i miei piani. È venuto con l’arma più forte: il dolore. È venuto per prendersi tutta la mia attenzione. È venuto per minacciarmi, impaurirmi. Ed è stata una dura lotta contro la paura. Ma dovunque mi sono ritrovata in queste affannose fughe nelle stanze del dolore e della paura; dovunque sono andata, tu c’eri. Tu Dio, Spirito della vita, mi raccoglievi come una pecora perduta negli abissi della disperazione e mi riportavi nell’ovile del tuo amore. Così mi scriveva Viviana qualche tempo fa in risposta ad un mio messaggio:
“Grazie Lello caro, io sto un po’ meglio in questi giorni e cerco di affidarmi il più possibile allo Spirito così come mi suggerisci sempre tu. Non è sempre facile, la paura spesso è più forte, ma sto cercando di vincerla. Ti voglio bene e ti aspetto quando vuoi. Un abbraccio enorme”.
Anche io ti voglio bene Vivianuzza. Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo stupendo. Meravigliose sono le tue opere, e l'anima mia lo sa molto bene. 15 Le mie ossa non ti erano nascoste, quando fui formato in segreto e intessuto nelle profondità della terra.  I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi eran destinati, quando nessuno d'essi era sorto ancora. Oh, quanto mi sono preziosi i tuoi pensieri, o Dio! Quant'è grande il loro insieme! Se li voglio contare, sono più numerosi della sabbia; quando mi sveglio sono ancora con te. Io ti celebrerò perché hai fatto Viviana in modo stupendo. E l’hai fatta un capolavoro. E la malattia non può cancellare il ricordo di un solo sorriso di Viviana. Viviana si è addormentata contando i pensieri preziosi di Dio, numerosi come i granelli di sabbia. E quando si sveglierà scoprirà con incanto che tu, o Dio, sei ancora accanto a lei. Nella vita e nella morte, non la lascerai da sola. Invece a noi tocca lasciarla. A noi tocca lasciarla andare. A noi tocca lasciare la presa. Tu Marco e tu Marisa, che l’avete accudita in tutto questo tempo, lasciatela andare, ma non lasciate andare l’amore di Viviana che ha creato il vostro legame.
Lasciatela andare, ma non lasciate andare la memoria di Viviana che vi è stata affidata. Giovanni e Cristina, voi non lasciate da soli Marco e Marisa, in questo tempo hanno bisogno di voi. Delle vostre attenzioni e del vostro amore. E noi tutti qui presenti, non lasciamo da soli Giovanni e Cristina, Marisa e Marco, avranno bisogno di noi e del nostro amore.
“Quanto a ciò che tu semini, scrive Paolo, non semini il corpo che deve nascere, ma un granello nudo”. Al giorno della grande rinascita amica e sorella Viviana, amen.

Circolare Presidente Ucebi

Viviana Arcidiacono
Salmo 139

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In memoria di Viviana Arcidiacono
Lettera a Viviana Arcidiacono
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